Medici nell’800
Essere medici nell’800 significava, per buona parte del secolo, studiare per lo più nelle Università della gran filosofia e sezionare cadaveri nella speranza di capire qualcosa di come funzionasse nella realtà il corpo umano.
Nel 1870 le facoltà di medicina non erano per nulla simili ai nostri standard moderni, a partire dal fatto che per arrivare ai primi concetti di batteri e di contaminazione bisognerà superare la teoria dei miasmi, vapori, fluidi non ben identificati che trasportavano le malattie: solo negli anni ’70, grazie a Pasteur, si passa a parlare di generici “germi”, e non ancora di batteri, funghi, virus. Tanto che il termine “germe” ancora resiste nel linguaggio comune!
Medici nell’800 – ma solo per le ricette
Se prima del ’70 dunque nemmeno di germi si parla, e Lister fino al ’67 non pubblica il primo articolo su The Lancet riguardo la prassi dell’antisepsi, possiamo immaginare quanto approssimative fossero le informazioni utili imparate negli atenei. Contemporaneamente, ne venivano invece trasmesse tantissime ricavate dalla medicina tradizionale, nel migliore dei casi non nocive. Per quanto riguardava le informazioni migliori, il primato delle università apparteneva alle facoltà di Inghilterra e Scozia, punto di riferimento anche per Harvard e Yale, per le università Francesi (che tuttavia accolsero le innovazioni più rapidamente di quelle inglesi) e delle italiane.
Spesso, i futuri medici ricevevano la loro formazione in un’aula con poca o nessuna esperienza pratica sul campo. Guardando agli Stati Uniti, così come ad altre parti del mondo, le scuole di medicina nel Regno Unito, anche quelle considerate prestigiose, erano generalmente disorganizzati e nel complesso formavano medici poco preparati, e solo l’esperienza sopperiva le carenze degli studi e gli errori che facevano parte della preparazione. Un medico usciva dall’Università convinto di teorie del tutto errate, preparato ad applicare salassi e purghe per curare quasi tutti i mali.
Il salasso col kit personale
Ogni medico portava sempre con sé, a dimostrazione di questo, un kit per l’applicazione di salassi personalizzato, e ancora oggi, quelli rimasti a testimonianza delle cure dell’epoca, riportano le macchie di sangue mai tolte dai bisturi e dalle custodie.
Il dottore che praticava la sola cura delle persone aveva una certa reputazione, superiore a quella dei chirurghi, al contrario di oggi.
Il chirurgo, quel poraccio
I chirurghi erano, infatti, considerati poco più che dei macellai per esseri umani, e per dedicarsi a questa professione bisognava avere caratteristiche diverse dal semplice medico curante: era necessario essere forti, veloci, decisi.
Mancando per buona parte del secolo l’anestesia, gran parte degli interventi erano amputazioni di arti in cancrena e parti cesarei: i secondi si praticavano nel tentativo di salvare durante parti a rischio almeno il bambino, in quanto la madre difficilmente sopravviveva, così come alle isterectomie praticate per curare l’isteria. L’amputazione dava qualche speranza di sopravvivenza a pazienti che altrimenti sarebbero comunque morti. Se superavano lo shock, eventuali infezioni e nuove febbri, avevano una speranza di vita.
I medici nell’800 con simpatia ma senza anestesia
Nel 1840 Horace Wells, dentista, fu il primo a usare il gas esilarante, protossido d’azoto, per intontire i pazienti durante le estrazioni. Fu l’inizio della storia dell’anestesia, e se avete visto il film di Via col Vento, non avrete potuto dimenticare la sequenza dell’ospedale, in cui il Dottor Meed dichiara d’aver finito il cloroformio e di dover amputare ugualmente la gamba a un poveretto, di cui vediamo solo l’ombra e sentiamo e urla, mentre Rossella guarda inorridita. “Non tagliate!” grida la voce tremante di lui, terminante nello straziante rantolo, che spinge la giovane donna a fuggire da quell’orrore.
Siamo a metà degli anni ’60, e solo vent’anni prima quella visione sarebbe stata normale in tutti gli ospedali, anzi, sarebbe avvenuta in un’aula con tanto di tribune, aperte non solo agli studenti, ma al pubblico.
Il primo pensiero di Lister, in effetti, non fu tanto quello di lavorare in una piccola sala totalmente sterile, ma di mantenere una specie di bolla sterile intorno al paziente, grazie a un nebulizzatore di acido fenico: era radicata l’idea dell’intervento pubblico.
Ciononostante, il dottore era il dottore. Il chirurgo un manovale.
L’apotecario
E sotto, un altro piccolo gradino: lo speziale, farmacista, apotecario che dir si voglia, colui che maneggiava le spezie e le sostanze chimiche.
Nell’800 si sottovalutava il vero potere del chimico-erborista, nelle cui mani passavano le medicine e principi attivi. In quel mondo in fieri che era la medicina, bastava pochissimo fra la scoperta del secolo, compiuta in sintonia col dottore o la morte del paziente per un microgrammo di troppo di qualcosa considerato innocuo.
I farmaci erano fatti su misura, di volta in volta, sulla ricetta del medico. Così come i famosi tonici, che potevano essere composizioni ideate dal farmacista stesso sulla base delle richieste dei pazienti.
I farmacisti maneggiavano veleni, che venivano conservati con cura e distribuiti con parsimonia in base a richieste specifiche: veleno per topi, antimuffa, diserbante… ed erano tenuti a registrare con cura ogni prodotto venduto, le quantità e i nomi degli acquirenti.
Non era comunque difficile per le signore comprare veleno per topi (arsenico in quantità cospicue) e usarne un pochino per topacci grossi con la barba (piccole quantità erano sufficienti).
Il barbiere dentista per vocazione
Il barber shop era un luogo di ritrovo amato dai signori nell’800. Un momento tutto al maschile per curarsi e coccolarsi, disegnare barbe e baffi alla moda, arricciare capelli, o, andando più indietro, sistemare parrucche gioiosamente pidocchiose.
E se per caso c’è da sistemare qualche dente dolorante, chi chiamerai? Ghostbusters? No, il barbiere.
Nell’800, prima che il dentista diventasse una professione vera e propria, medica e seria, era una tortura lasciata alle cure dei barbieri, che avevano mano ferma e sapevano maneggiare strumenti come i rasoi con precisione.
Non che il lavoro di cura dentaria fosse molto delicato: dente malato, dente estirpato. Però il barbiere incideva anche gli ascessi, per esempio, e si improvvisava anche chirurgo per l’estrazione delle tonsille (con le pinze… come si faceva fino a qualche decennio fa, senza anestesia, poi si raffreddava la gola col gelato).
L’ostetrica
Scendiamo poi al reparto donne, dove troviamo per tutto il secolo un mestiere antico, quello dell’ostetrica.
Per loro nascono scuole vere e proprie, anche se il mestiere da secoli lo imparano sul campo, seguendo la vecchia ostetrica di paese o di quartiere e affiancandola nei parti.
Finché il mestiere rimane nelle case e nelle mani delle donne, tutto funziona abbastanza bene, in modo naturale, ma quando gli uomini cominciano a metterci il naso, i medici decidono di dover controllare il parto, arrivano anche i primi ostetrici maschi e aumenta l’ospedalizzazione delle partorienti, il tasso di mortalità di madri e figli sale vertiginosamente per le febbri puerperali. Sezionare cadaveri e poi far partorire, senza lavarsi le mani non è una buona idea. Ma ci si arriva solo un bel po’ dopo che Lister insiste per dare alle zampette una sciacquatina.
La “maschilizzazione” del parto porta anche l’introduzione di strumenti simpatici e di vera utilità per accelerare i tempi, visto che la natura non era abbastanza brava e ci metteva troppo tempo. Per cui ecco bacchette per rompere membrane, dilatatori meccanici del collo dell’utero e altri strumenti che, se inseriti in un museo medievale, avrebbero fatto un figurone. Il forcipe e la ventosa in questi anni vivono tempi di gloria, e pazienza se c’è qualche problemino: i dottori guardano alla performance, i figli poi son fatti tuoi.
L’infermiera
Le infermiere infine, essendo donne e religiose, vanno in fondo alla lista.
A partire dal Medioevo, infatti, ad affiancare i medici, a dare sollievo come potevano, con l’assistenza basilare ai pazienti, c’erano suore e religiose che dedicavano la loro vita alla cura dei malati e dei poveri.
Avevano di solito vita breve, specie quando arrivavano le ondate di epidemie.
Nell’800, però, le cose cambiano, e il mestiere infermieristico viene aggiornato e rivoluzionato da una donna determinata, Florence Nightingale, inglese, nata nel 1820 e appartenente a una ricca famiglia, che le permette una ottima istruzione, e che tutto s’aspetta tranne che la figlia decida di studiare come infermiera e partire per la Crimea, dove si sta combattendo una sanguinosa guerra. Siamo negli anni ’50 dell’800 e Florence, preparatissima sui più moderni sistemi di sterilizzazione e sanificazione, organizza i campi ospedalieri insieme al suo personale sanitario, tanto da ridurre dal 42% la mortalità per tifo, gangrena, dissenteria e febbri al solo 2%.
Non che io voglia essere più femminista del solito, però…
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fonti web:
https://editions.covecollective.org/chronologies/becoming-doctor-1800s
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