Stubbins Ffirth e la febbre gialla- la orrida medicina nell’800

Stubbins Ffirth e la febbre gialla- la orrida medicina nell’800

Si sa, la medicina nell’800 ha molta strada da fare e i pazienti dovevano sperare nella Provvidenza, ma allo stesso modo c’erano medici così volenterosi da affrontare su di sé le peggiori sperimentazioni pur di trovare cure, vaccini o rimedi alle malattie: questo è il caso di Stubbins Ffirth, il quale nemmeno ebbe la gioia di passare alla storia per il successo delle sue fatiche. Anche per la difficoltà di pronunciare il suo nome.

La febbre Gialla

Abbiamo in passato parlato di una delle grandi malattie del passato, il colera, In questo articolo (clicca e leggi)   e in questo articolo (come avrete capito ho un certo gusto sadico) e ancora tanto c’è da raccontare, per esempio, di altre pandemie ed epidemie, ma oggi parleremo della febbre gialla, che nel nostro immaginario sembra qualcosa da poco, perché nelle nostre aree non colpisce facilmente, soprattutto oggi che esiste una prassi vaccinale collaudata: per la febbre gialla è obbligatorio il vaccino se si viaggia nelle aree a rischio.

Abbiamo (quasi) imparato a nostre spese che non esiste nessuna dogana capace di fermare le malattie, soprattutto alcune. Oggi la febbre gialla è sotto controllo, ma ne”800 non c’era cura né  vaccino e epidemie esplodevano uccidendo senza pietà. Oggi nelle zone dove sono rimasti i bacini è endemica, e ancora uccide: l’Africa centrale, il Sudest asiatico, il subcontinente indiano e l’America centrale sono le zone più colpite dalla malaria, grazie al clima favorevole.

A trasmettere la febbre gialla è un virus che utilizza le zanzare come veicolo di trasporto da un paziente infetto a un soggetto sano: dove ci sono zanzare, c’è rischio. Dall’Africa, dove era diffusa, La febbre gialla arrivò a bordo delle navi cariche di schiavi, trovando un clima altrettanto favorevole nell’America sudista, e fu lì che si scatenarono grandi epidemie, anche perché l’organismo non era mai venuto in contatto con il virus.

Arriviamo finalmente ai nostri eroi

Il nome “febbre gialla” fu dato da Hughes nel 1750. Dipendeva dal colore giallastro della pelle dei malati, ma visto che non faceva forse abbastanza orrore, altro soprannome fu “vomito nero”. Quello che era certo, era la gravità del morbo, la fine iniqua dei pazienti e l’impossibilità di dare giovamento ai poveri ammalati.

Una delle peggiori epidemie si sviluppò nel 1793 a Philadelphia, decimandone la popolazione. Un vero dramma. Qui il nostro eroe entra in gioco, anche se ancora troppo giovane per poter curare i malati, giura a  se stesso che studierà medicina e al prossimo giro sarà in prima linea nelle cure.

Purtroppo finisce gli studi troppo presto per ricevere quelle nozioni davvero utili per capire come debellare il virus: non esiste ancora una concezione di vaccino, non è ancora stata messa a punto una prassi comune sulla sperimentazione, sulle norme igieniche…

Certamente, mancava ogni nozione sui virus, troppo piccoli anche per il microscopio più potente, e comunque assimilati all’epoca al generico mondo dei germi, quelle creature senza una vera e propria natura che appunto “ammorbavano” l’aria e la rendevano infetta. E dunque, per questo la febbre tifoide – sempre lei, la febbre gialla – arrivava d’estate, con l’aria calda piena di morbi. Non che le zanzare gradissero il caldo, bestiacce ronzanti e fastidiose.Stubbins Ffirth

Stubbins Ffirth studia la febbre gialla

Finalmente – si fa per dire – il dottor Stubbins Ffirth può dedicarsi ai pazienti malati di febbre gialla. Anche lui trasse le sue conclusioni: la febbre gialla viene d’estate. Il contagio non avviene fra persone direttamente. Dunque, o viene dall’aria, o dallo stress del corpo per il caldo.

Il morbo dunque risiedeva nel corpo del malato e la sua manifestazione principale era il vomito nero.

Ebbene sì, da qui in poi desidererete ardentemente che il vomito fosse giallo.

Stubbins Ffirth si fissò su quello, e usò un metodo tutto sommato sperimentale “a modo suo” : prima nutrì un cane a base di pane e di V.N., ottenendo soltanto un cane del tutto appassionato alla nuova pappa.

Forse perché deluso dalla reazione del cane, o forse perché ritentare con topi, maiali e altri pareva abbastanza inutile, Stubbins Ffirth si rese conto di dover passare alla sperimentazione umana, talmente certo dei risultati da non esitare. La sua etica ferrea lo condusse subito a una decisione: avrebbe usato se stesso come cavia.

Il primo coraggioso passo fu praticarsi ferite e mettere in contatto le parti esposte con fluidi corporei infetti (era il sistema che Madame de Montague aveva importato dai sui viaggi, il primo vaccino che veniva praticato dai popoli asiatici), ma Stubbins Ffirth non contrasse né la febbre gialla né una forma attenuata. Visto il fallimento dei tentativi, Stubbins Ffirth decise di tentare un approccio più diretto: utilizzò direttamente il Vomito Nero.

Sarò gentile e non entrerò nei particolari. Lo utilizzò spalmato sulla pelle e sugli orifizi, ne fece uso come bevanda, lo inalò sotto forma di vapori, lo consumò cotto… ogni vostra peggiore fantasia la trasformò in realtà.

Stubbins Ffirth

I risultati degli studi di Stubbins Ffirth

Purtroppo, i sacrifici di Stubbins Ffirth non portarono a nulla. Non era possibile, in effetti, partendo da premesse sbagliate, arrivare a giuste conclusioni. bisogna aspettare altri cinquanta anni per capire che il veicolo è la zanzara malefica, la Stegomyia fasciata (Aedes aegypti).

Bisogna poi arrivare addirittura al 1900 per le campagne di bonifica per eradicare la bestiaccia e liberare alcune zone dalle zanzare, rendendo meno pericolose le  aree calde.

Nel 1937 Theiler e Smith dell’Università Rockefeller di New York svilupparono un vaccino anti-amarillico da un ceppo virale attenuato. Max Theiler fu premiato nel 1951 con il Premio Nobel per la medicina.

Il triste finale di Stubbins Ffirth

Torniamo un poco indietro nel tempo.

Che accadde a  Stubbins Ffirth? Il nostro sperimentatore morì giovane, ma non di febbre gialla. Convinto dei suoi risultati (ricordate che anche un negativo è pur sempre un risultato), pubblicò nella sua tesi del 1804, Un trattato sulla febbre maligna; con un tentativo di dimostrare la sua natura non contagiosa e non maligna.

In nessun modo riuscì a contrarre la febbre gialla, ma il suo impegno fu certo lodevole.

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