Maternità nell’arte vittoriana
Per la festa della mamma, oggi vi propongo una delicata carrellata di dipinti sulla maternità nell’arte vittoriana.
Diventare madri era, nell’Ottocento, uno degli scopi principali della vita di una donna, secondo solo, sia in ordine di tempo sia per importanza, al matrimonio.
Nonostante la gravidanza fosse considerato un periodo imbarazzante, che richiedeva alle donne un certo ritiro dalla vita sociale, era come oggi un periodo denso di emozioni e di paure, anche perché di “certe cose” non si parlava mai in modo esplicito e molti aspetti erano ancora più legati alla superstizione che a vere conoscenze mediche.
Nei quadri del periodo raramente venivano raffigurate donne incinte: per la morale dell’epoca non era soggetto conveniente.
Diverso era il discorso per le rappresentazioni delle sventurate che concepivano fuori dal matrimonio: la pittura realista, in particolare del gruppo La Clique (ne parleremo presto!) ha raccontato con immagini molto drammatiche il destino delle reiette che venivano disonorate.
La maternità disonorata
Era una pittura didascalica, che voleva suscitare emozioni violente nello spettatore: che fosse disprezzo o pietà lascio a voi giudicarlo. Le madri nubili, condannate dalle famiglie e dalla società, avevano un destino incerto e gramo davanti. I loro figli ancora di più.
Certo l’infanzia non era facile, né per i ricchi né per i poveri: già la stessa nascita era un momento molto delicato, che metteva a rischio la vita di madre e bambino.
Infezioni puerperali erano molto frequenti, soprattutto in città e fra le donne che partorivano negli ospedali, nei quali i medici non si lavavano le mani fra una paziente e l’altra.
Ma di questi aspetti racconteremo in momenti diversi.
La maternità felice
L’arte vittoriana ci mostra con molta gioia il rapporto delle madri con i figli piccoli.
Se il Settecento e l’epoca georgiana ci ha proposto ritratti statici, severi e impostati, nei quali i bambini somigliavano a piccoli adulti dai visi composti, la pittura vittoriana punta a trasmetterci emozioni e ci mostra madri affettuose, giocose, piene di amore.
I giochi e gli abbracci sono gli stessi che diamo noi oggi ai nostri bimbi, con la spontaneità di un amore ancora non soggiogato dalle regole sociali.
Sappiamo come, soprattutto nelle famiglie nobili, su usasse delegare l’istruzione e persino l’accudimento della prima infanzia a istitutrici e balie. In queste tele invece troviamo madri che si appropriano dei momenti più intimi con le loro creature e non temono di seguire l’istinto.
La maternità in campagna
Nelle campagne le mamme avevano poco tempo per accudire la prole, ma il primo mese era così critico che tutto il nucleo famigliare si avvicendava nell’aiutare mamma e bambino.
In campagna e in città, i primi nove giorni erano di assoluto riposo per la partoriente: a letto, senza visite, senza sforzi e senza emozioni. Erano giorni critici, nei quali si determinava la vita o la morte.
Soprattutto le anziane erano figure chiave nella trasmissione delle competenze e nel supporto alle neo mamme di casa.
La maternità in città
In città le madri lavoratrici erano quelle che maggiormente soffrivano e si dovevano adattare: perduta la rete sociale della vita rurale e prive del supporto che potevano permettersi le donne di rango più elevato, spesso si dovevano appoggiare a vicine o, come racconta una delle protagoniste nel film “Suffragette”, portarsi il neonato al lavoro.
L’alta mortalità dei bambini è risaputa: senza vaccini, senza antibiotici e in condizioni igieniche spesso precarie, la morte neonatale e infantile era frequente nelle famiglie.
Forse viene da pensare che, visto l’alto numero di figli e la frequenza del fenomeno fosse meno sentita la sofferenza. In realtà, studiando le foto post mortem, tipiche del periodo, si comprende bene quanto forte fosse la sofferenza di queste mamme, costrette a una compostezza disumana e a ritornare troppo presto alla vita di sempre.
Una maternità di contrasti
La maternità nell’arte vittoriana viene presentata con gli stessi contrasti che caratterizzano l’epoca. Tanta tenerezza si trova in alcune immagini, quanto altre ci spezzano il cuore.
Troviamo madri eleganti, che leggono accanto a bimbe piene di boccoli, povere contadine che donano ai figli momenti di gioco e d’affetto, madri e figli che lottano per la sopravvivenza per le strade, che tanto ci ricordano il mondo dickensiano.
Quanto siamo diverse da queste madri?
Del tutto, e per nulla.
Abbiamo a disposizione tecnologie e cure migliori, conoscenze più ampie, ma viviamo le loro stesse paure, i loro dubbi, la stessa stanchezza e le stesse preoccupazioni.
Anche oggi, il dono più prezioso che possiamo fare ai nostri figli è il nostro tempo, allora come ora abbiamo un solo compito, quello di insegnare loro a volare con le proprie ali.
Ancora, come allora, siamo il ramo da cui i figli prendono il volo, solido approdo per il loro ritorno, solido sostegno per la loro fatica.
http://www.bbc.co.uk/history/trail/victorian_britain/women_home/ideals_womanhood_07.shtml