Fiabe che raccontano storie vere: quando le fiabe incontrano la Storia

Fiabe che raccontano storie vere: quando le fiabe incontrano la Storia

Le fiabe e la realtà: ci hanno insegnato fin da bambini che non c’è nulla di più distante. Ma non è proprio così. A volte le fiabe ci raccontano storie vere, anzi fatti di cronaca del passato rimasti scolpiti nell’immaginario collettivo. Scopriamo insieme alcune di queste vicende, spesso macabre quanto le fiabe che ce le hanno tramandate.

cenerentola Fiabe & Horror – la narrazione fiabesca in età vittoriana Qual è il confine fra fiaba e racconto horror? Fiabe classiche horror
Cenerentola, Arthur Rackham

Perché le fiabe raccontano storie vere.

Della fiaba e del suo sviluppo abbiamo parlato in questo articolo e delle fiabe nell’800 in questo. Oggi aggiungeremo un altro tassello alla nostra avventura fiabesca. Le fiabe nascono attraverso la tradizione orale, figlie di due necessità della gente, quasi completamente analfabeta, delle epoche più antiche: quello di istruire e quello di trascorrere il tempo meno produttivo con intrattenimenti utili. La fiaba serviva a insegnare ai piccoli a evitare i pericoli (i lupi nei boschi, gli sconosciuti pericolosi…) serviva a intrattenerli in modo che i grandi potessero attendere ad altre occupazioni, a volte nascevano proprio da fatti di cronaca che, passando di bocca in bocca, di villaggio in villaggio, assumevano l’aspetto tipico della fiaba.

Per il popolo, tutto ciò che aveva  anche fare con re, regine, castelli e potenti era avvolto in un’aura misteriosa. Per esempio nelle fiabe popolari russe spesso si ha l’impressione che la gente si chiedesse che cosa avevano questi personaggi da fare nei loro castelli.

E non solo nelle fiabe russe: il baratro che divide la vita popolare e le corti è insormontabile.

Fiabe che raccontano storie vere: quando le fiabe incontrano la Storia
Lo specchio parlante di Lohr

Biancaneve e i sette nani – le fiabe che raccontano storie vere.

Ci sono diversi fatti che, negli anni, sono stati ricondotti a Biancaneve, la più celebre fiaba raccontata dai Grimm.

La città di Lohr in Bassa Franconia sostiene che Schneewittchen sia nata proprio da quelle parti, e della storia esistono diverse versioni, tutte molto simili.

È da oltre trent’anni che i ricercatori sono impegnati nello scoprire le origini reali nella fiaba, e diverse sono le vicende che hanno punti in comune con la fiaba raccontata dai Grimm.

Nel 1986, Karl-Heinz Barthels pubblicò una tesi secondo la quale Biancaneve sarebbe ispirata a Maria Sophia Margaretha Catharina von Erthal, nata a Lohr nel 1725 e figlia di un importante magistrato e rappresentante del Principe Elettore tedesco. morta la prima moglie,  von Erthal si risposò con Claudia Elisabeth von Reichenstein, che fece di tutto per favorire i suoi figli di primo letto, a scapito della povera Maria Sophia. Perseguitata dalla matrigna, la giovane lasciò il palazzo per vivere nei boschi. E i nani? La zona nei presso di Lohr è ricca di giacimenti di carbone, e di miniere, nelle quali in passato venivano messi al lavoro persone di piccola statura: nani e bambini.

Niente principe azzurro, però, per questa triste vicenda: la ragazza morì di vaiolo pochi anni dopo.

La matrigna doveva essere parecchio antipatica alla gente del luogo, e la fine della giovinetta non aiutò la sua immagine pubblica. E così divenne una stregaccia cattiva.

Ma se vogliamo aggiungere ancora altro folklore, il castello dei von Erthal è visitabile e fra le sue mura custodisce addirittura lo “specchio parlante”, che von Erthal regalò alla moglie: si tratta di un giocattolo acustico in voga nel ‘700, in grado di registrare e riprodurre le frasi pronunciate da chi si specchiava. Insomma, nessuna magia, ma pura tecnologia!

Biancaneve e Margaretha

Nel 1994 una seconda giovane donna fu identificata come possibile Biancaneve, grazie allo storico Eckhard Sander: Margaretha von Waldeck, nata a Bruxelles nel 1533, era la prima fiamma di Filippo II di Spagna; pare che a farla fuori fu la polizia segreta del re, che osteggiava il loro legame, col  veleno. Ma perché Margaretha dovrebbe essere Biancaneve? Perché era orfana di madre, aveva una matrigna e suo padre aveva nei pressi di Bruxelles diverse miniere, quindi tanti piccoli lavoratori anche lì. Secondo Sander, la vicenda della sfortunata fidanzatina si sarebbe mescolata con le storie sullo Stregone dei Meli, una specie di “Uomo Nero” che avvelena le mele nei frutteti. La sola utilità di questo babau era quella di evitare che i bambini rubassero le mele. Biancaneve compresa.

Parlando di mele, arriva anche il professore trevigiano Giuliano Palmieri,  che indicò Biancaneve come originaria delle dolomiti della Provincia di Belluno, e provenire dalle valli del Cordevole, una zona di miniere e dimora di antichissime popolazioni, con un patrimonio di leggende molto importante.

Fiabe che raccontano storie vere: quando le fiabe incontrano la Storia
Giles de Rais

La storia vera di Barbablù

Anche la fiaba di barbablù, raccontata da Perrault, ricalca un crudo fatto di cronaca. Gilles de Montmorency-Laval, noto come Gilles de Rais, Barone di Rais, fu signore di varie località in Bretagna, Angiò e Poitou e capitano dell’esercito francese e compagno d’armi di Giovanna d’Arco.

Ma il suo nome divenne molto più noto quando dopo il 1432 venne collegato a una serie di omicidi di bambini. Nel 1440 arrivarono su di lui accuse terrificanti e durante il processo i genitori dei bambini scomparsi e i servi di Gilles testimoniarono contro di lui, facendolo condannare a morte per una vasta serie di reati. Venne impiccato a Nantes il 26 ottobre 1440. Le accuse riguardavano la tortura e l’omicidio (in modi del tutto efferati) di oltre centoquaranta bambini.

Gli andò anche bene, perché il suo processo fu in parallelo civile e religioso, e dato il genere di reato e la sua passione per l’occulto rischiò di finire sul rogo. Ma la tortura non gli fu risparmiata.

Le vicende riguardanti Giles ispirarono anche un famoso racconto di Montague R. James, cuori perduti, e vari altri personaggi letterari.

Fiabe che raccontano storie vere: quando le fiabe incontrano la Storia

Hansel e Gretel

Fra le notizie che girano in rete si trova anche una derivazione storica di Hansel e Gretel, molto affascinante ma purtroppo, anzi per fortuna, frutto della fantasia di un romanziere che in La strega e il panpepato. La vera storia di Hänsel e Gretel, Emme Ed., Milano, 1981, si inventa tutta una ricerca assai coincidente e suggestiva, nella quale  in Germania, negli anni sessanta del Novecento, vengono compiute ricerche negli archivi di Wernigerode e degli scavi sull’Engelesberg, nella vicina regione dello Spessart, dai quali emerge una storia molto strana: nel 1647, due fratelli, Hans e Greta Metzler, di pasticcieri, invidiosi della fama e dell’ottima clientela che una certa Katharina Schraderin, pasticcera specializzata in marzapane, la denunciano al tribunale con l’accusa di stregoneria a causa della sua ricetta segreta. La giovane, di fronte ai giudici di Gelnhausen, si discolpa e viene assolta.

I due però, decisi a impossessarsi della ricetta di Katharina, la aggrediscono nella sua casa in mezzo al bosco, la uccidono e la bruciano nel suo stesso forno.  Viene anche rinvenuta nel romanzo la casetta, o meglio ciò che ne rimane,e persino lo scheletro bruciato nel forno. In una lettera al fratello Wilhelm, Jakob Grimm scrive: “Questa storia dei due fratelli mi pare troppo violenta per trovar posto nella nostra raccolta. Se la giovane strega fosse una brutta vecchia con la gobba, sui cui magari stesse appollaiato un corvo o un gatto, il tutto potrebbe sortire un effetto altamente istruttivo e denso di significato”. Così, nella versione fiabesca, si invertono i ruoli. Tutta la storia narrata nel romanzo di Traxler, peerò, è una pura invenzione.

Il dramma della fake news è iniziato quando alcuni studiosi hanno preso per vera la sua invenzione letteraria, dandole ufficialità.

https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=101195

Una casa torre

Murate vive

In molte fiabe leggiamo di principesse murate vive, fra le più famose La vergine Malvina (Grimm) e L’uccel belverde (italiana, raccolta da Calvino).

Di donne murate vive si parla anche nella tradizione non fiabesca ma leggendaria che accompagna le storie di spettri di alcuni famosi castelli, fra cui quello di Gropparello (pc). Murare o seppellire persone vive era fra le pene più terribili, applicate nell’antichità e nel Sacro Romano Impero, dei casi di crimini particolarmente gravi, fra cui l’infanticidio: è proprio per questo motivo che la regina in L’uccel Belverde viene murata fino alla testa, e tenuta in vita con pane e acqua. Per fortuna, arrivano i suoi figli (niente affatto morti) a salvarla, non appena divenuti adulti (un premio alla resistenza della donna!).

Nel diciassettesimo secolo nella Russia feudale, la sepoltura dal vivo come metodo di esecuzione era conosciuta come “la fossa” e usata contro le donne che erano state condannate per aver ucciso i loro mariti. Nel 1689, la punizione della sepoltura dal vivo fu cambiata in decapitazione.

Ma perché tante dame vengono chiuse nelle torri?

Qui ci occorre tornare al medioevo, quando,  intorno all’anno Mille, si svilupparono strutture fortificate chiamate, appunto, casetorri. Ancora oggi ne esistono molti esempi. Le casetorri venivano per lo più costruite e impiegate in zone di difficile accesso durante il medioevo per presidiare e se necessario difendere un passo o un punto strategico in aree montane, o nei pressi di crocevia. Oltre all’uso militare, le case torri venivano impiegate come abitazioni padronali.

Erano dotate di cortili interni, con pozzo e stalle, e in alcuni casi l’ingresso era elevato rispetto al terreno, in modo che una volta tolte le scale fossero più difficili da espugnare.

Fiabe che raccontano storie vere: quando le fiabe incontrano la Storia
Santa Barbara

Raperonzolo e santa Barbara

Secondo alcuni studiosi, la storia di Raperonzolo sarebbe invece da ricondursi al martirio di Santa Barbara, la quale, essendosi consacrata a Dio, rifiutò vari pretendenti, facendo infuriare il padre pagano, che la chiuse in una torre con due sole finestre. Lei fece aprire, durante la sua assenza, una terza finestra in onore della Trinità, manifestando così la sua fede. Il padre cercò di ucciderla, ma per miracolo la torre si aprì e la fece fuggire. La fuga durò poco: fu catturata e decapitata per mano del suo stesso genitore. Il quale però poco dopo venne colpito da un fulmine.

Petrus Consalvus e la moglie

La Bella e la Bestia – fiabe che raccontano storie vere e storie vere che sembrano fiabe.

La Bella e la Bestia è una delle fiabe più note e amate, di grande ispirazione per il cinema e resa ancor più celebre dalle diverse versioni Disney.

Ancor prima che cinema e tv se ne appropriassero, però erano tante le versioni della stessa storia, che rappresenta una delle più interessanti narrazioni per come si presta a varie interpretazioni psicologiche e non: troviamo somiglianze con la fiaba che oggi conosciamo in Apuleio (la storia di Eros e Psiche), una versione precedente di Madame Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, mentre qualcuno la porta addirittura in Italia, scritta nel 1500 da Straparola. La fiaba fu resa celebre nel 1756 da Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, che riprese la versione della Villeneuve.

Probabilmente la Bella e la Bestia si ispira a una storia vera, quella di Petrus Consalvus, un nobile spagnolo vissuto fra 1500 e 1600, affetto da ipertricosi. Petrus arrivò alla corte spagnola da Tenerife, una curiosità per il re, un “mostro” da osservare. Giunto poi alla corte francese, attirò l’attenzione di Caterina de’Medici, che volle unire in matrimonio a lui una delle sue damigelle, la bellissima Catherine. Si trattò di una sperimentazione: la regina voleva vedere come sarebbe stata la prole di tale unione. Con sua delusione, però i primi due figli nacquero senza presentare nessun difetto.

La coppia nel ebbe in tutto sei, di cui quattro con ipertricosi. In seguito, la famiglia si trasferì in Italia, prima alla corte di Parma e poi sul lago di Bolsena.

Il pifferaio di Hameiln raffigurato in una vetrata di Goslar del 1500.

Il pifferaio di Hamelin

La storia più triste di tutte è quella raccontata nel pifferaio di Hamelin, sempre dai nostri Grimm. Nella città ancora oggi si trovano diverse tracce riguardanti la vicenda, e a quanto pare i fatti narrati hanno un fondo di verità.

Il più antico riferimento a questa fiaba si trovava raffigurato in una vetrata della chiesa della città risalente circa al 1300. Della vetrata si trovano descrizioni su diversi documenti del XIV e XVII secolo, ma purtroppo è andata distrutta. In base alle documentazioni rimaste, il crittografo Hans Dobbertin ha tentato di ricostruirla in tempi recenti. L’immagine mostra il Pifferaio Magico e numerosi bambini vestiti di bianco.

I fatti documentati riguardano l’esodo senza ritorno di un gran numero di bambini della città di Hameln.

Una prima ipotesi riguarda la peste, che imperversava nel 1200: potrebbe esserci stato un tentativo di derattizzazione (i topi veicolavano la peste) e poi un esodo in massa dei bambini per salvarli dall’epidemia. Che poi i piccoli siano morti vittime di una frana (inghiottiti dalla montagna), che si siano a loro volta ammalati o che abbiamo preso altre malattie (era diffuso il ballo di san Vito) non si sa: quello che è certo è che non tornarono. Di epidemie di ballo di San Vito, in zona, parlano alcune cronache.

È anche possibile che i bambini abbiano fondato altri villaggi nei dintorni, come testimonierebbero alcuni paesi dai nomi simili ad Hameln: era frequente che questo tipo di colonizzazione avesse luogo in quella zona.

E se il pifferaio, citato anche in un’altra fiaba del 1600, non fosse che un assassino, sullo stile di John Wayne Gacy, il clown serial killer che attirava i bambini col suo aspetto innocuo?

Non c’è ancora luce su questa antica e misteriosa vicenda, e chissà se sapremo mai che fine hanno fatto i piccoli di Hameln.

Fiabe che raccontano storie vere – un precedente articolo di Miss Darcy

https://www.facebook.com/salottomissdarcy/videos/468286057394820/

Pubblicità