Tanto rumore per Giulia

Buongiorno. Tornata libera dalle prigioni dei lanzichenecchi giro sconvolta per il web. Ho sempre cercato di cercare il filo rosso attraverso la storia ottocentesca per comprendere la nascita della donna moderna, per analizzare l’evoluzione delle donne dal mercato matrimoniale alle femministe del Novecento, e oggi, con i fatti accaduti, tristemente ho visto rilanciare dalle signore in politica i termini “società patriarcale”, non soltanto rivolte in merito al femminicidio accaduto, ma nei riguardi della nostra Premier. Non parlo mai di politica, ma ho trovato il fatto gravissimo, e visto che vi è stato chiesto di FARE RUMORE PER GIULIA io lo faccio. Da admin, da angelo del focolare, da suffragetta, da scrittrice, da donna, da moglie, da mamma, da figlia. Da nipote, di donne.
Sì, la nostra è una società intrisa profondamente nella cultura patriarcale. Tutte le ragazze o le donne che hanno fratelli maschi lo sanno bene, che le differenze si fanno e si sono sempre fatte, e chi non le ha viste è un’eccezione. Cominci da bambina, e ti dicono che devi fare la brava donnina e stare composta, specie se ti mettono su una gonna.
Bene o male, nei negozi i giocattoli sono ancora adesso separati, e se una mamma, come è successo a me con i figli maschi, rifiuta categoricamente di dare in mano armi ai piccoli, stai ben certo che in qualche modo i nonni in qualche modo riescono a fargli avere almeno le pistole ad acqua.
Nei negozi d’abbigliamento, però, si guardano bene, adesso, dal perdere vendite e di andare contro corrente: i neonati te li separano per tinta, ti offrono un po’ di neutro, poi per i ragazzi via andare su modelli sempre meno distinti, sempre più neutri, non si sa mai.
Ma la società italiana, quello che c’è nella mutanda lo sa e agisce di conseguenza. Se C’è il pisello, si educa al comando, se non c’è, al servizio. Mie care: girate il cubo di Cubrik, ma sarete donne, madri, lavoratrici e domestiche. Sognatevela la parità, perché avete quei centimetri di meno nelle mutande. E quando c’è da fare i figli, disgraziatamente possono uscire solo da voi, e per quanto il biberon sia comodo, è pure vero che i primi mesi siete voi cibo e medicina. Se amate il bambino e capite che è un essere vivente “altro da voi” e non un piacer vostro giusto perché la famigliola è completa così. Le donne non sono pari all’uomo, sono diverse, probabilmente sono meglio e non è vero che hanno l’invidia del pene conììme dicevano i primi psichiatri. È l’uomo che ha invidia dell’utero, perché altrimenti non ucciderebbe la donna con così tanto accanimento.
Ci uccide, il maschio, perché non riesce ad afferrarci, possederci, farci sue come vorrebbe, e non gli basta prevaricarci col sesso, con le botte, con le prevaricazioni, con in condizionamento mentale. Può fare tutto il male del mondo, ma la verità è che l’uomo può seppellire la donna, la la Donna continuerà a volare, e non può fermarla.
ci ha provato in tutti i modi, per millenni, e non ci è ancora riuscito.
Perché la donna partorisce figli, e fa altri uomini e altre donne, e non la fermi mai. E genera, e questo è il potere più vicino alla divinità che esiste e l’uomo è arrivato a dire che Dio è padre, ma Dio è Madre, perché è più AMORE che regole, o ci avrebbe già distrutti.
Dio non è solo seme, non è solo qualcosa buttato in un grembo, ma è cura. E anche di questo l’uomo è invidioso.
Giulia si stava laureando, il suo assassino no. Giulia stava vivendo, il suo carnefice NO. Dio è vita. È prossimità, è presenza amorevole. Può esserlo un uomo che lascia e va? Dio è madre in ascolto costante.
Giulia è morta per colpa  di una società patriarcale? Forse. Ma non date la colpa ai genitori del  suo assassino – e non lo nomino, no, non è importante. Sono un padre e una madre che hanno amato un figlio come hanno potuto, come hanno imparato.
Guarda: io  e te, io e te siamo Giulia. Siamo sia sorella. Siamo sua madre, suo padre, ma siamo anche il padre e la madre di quel ragazzo. Per un caso te e me siamo stati così fortunati da non cadere in un vuoto  come lui.
A noi è dato sperimentare che c’è un dolore come quello di chi non ha alzato la mano come Caino, ci possiamo sentire -forse- giudici, ma è meglio di no. Sentiamoci consolatori, cerchiamo per lo meno di non fare più male pesando su questo grande dramma.
Cerchiamo di essere lievi come carezze di madri.
Attenti a quello che diciamo, ascoltiamoci: ogni volta che giudichiamo una ragazzina per la gonna, il trucco, la risata. Chiediamoci quanto siamo siamo madri, o padri, quanto dalla vita abbiamo imparato ad accogliere o a giudicare. La differenza possiamo farla con una parola.
Giulia, possiamo farla per te.
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