Buon Natale, mamma.
Il mio presepe è molto piccolo. Occupa uno scaffalino della credenza, e a malapena ci entrano la capanna coi pastori e le loro pecorelle. Però hovoluto una fontanella con l’acqua vera.
L’ho desiderata tanto, questa fontana, nonostante la sua presenza ci costringa quasi ad impilare le pecore; eppure, l’anno scorso finalmente l’abbiamo comprata.
Ci pensi, mamma? Nel mio presepio c’è l’acqua vera!
Certo, questo presepe non è bello come il nostro, con i monti, il villaggio, il mercato, il castello di re Erode, il lago e la grotta e tante lucine… ma è fatto con lo stesso amore che ci mettevi tu. Ricordi? Cominciavamo a novembre a dipingere polistirolo, conservato dagli imballaggi, per trasformarlo in piccoli pozzi, ponti e casette. Andavamo per muschio in campagna e tappezzavamo la soffitta di cieli stellati di carta. Ancora adesso non riesco a guardare un pezzo di polistirolo senza chiedermi che cosa potrebbe diventare, se lo dipingessi: casette? Una fattoria? Un pezzo di un castello o di un tempio diroccato? Ho ancora da parte tutte quelle che avevamo costruito in quegli anni, compresa l’orrenda capanna di tappi, e ti assicuro che sta reggendo in modo impressionante ilpassare del tempo in tutta la sua bruttezza. Ma come ti era venuta in mente? Continuo a confidare che un giorno o l’altro avrò un posto abbastanza grande dove sistemare tutto il villaggio, il mercato e le decine di statuette che avevi accumulato per il tuo adorato presepio. Era una preparazione più lunga di quella del pudding.
Solo poco prima di Natale riuscivamo a finire il lavoro, e costringevamo gli amici che venivano a vederlo ad aspettare al buio, fino a che le lucine non si erano scaldate (ci voleva tempo, allora!) e la musica natalizia non si diffondeva dal nostro giradischi. Poi, li accompagnavamo a vedere il nostro capolavoro e tutti restavano a bocca aperta. Come ne eravamo fiere!
Tu mi spiegavi, ogni anno, mentre eravamo chine sul muschio steso a simulare l’erba, che la Palestina non era per nulla verdeggiante come la facevamo noi, e che i nostri boschi di abeti e palme insieme erano un poco improbabili; d’altra parte anche il nostro mercato, affollato in piena notte, e pieno di venditori di salumi, non era molto verosimile. Ma a noi non importava, perché era bellissimo così; soprattutto era bello costruire il nostro paesaggio, e litigare per la posizione delle statuine.
Una delle tue preferite era quella dell’ubriacone, seduto al tavolo con tanto di fiasco. gli avevi fornito il vinaio con gli scaffali perché non rimanesse mai a secco. Ti divertiva un sacco pensare a questo tipo che mentre dall’altra parte del presepio c’era un mistico via vai di angeli, pastori in cammino, pecorelle in continuo stato di deliquio che cascavano tipo domino, se ne stava bel bello col suo bicchiere di rosso all’osteria.
Sul castello di Re Erode ci finiva sempre anche un egiziano che si era perso da un gioco educativo, ed era stato adottato dal presepe. Era nano rispetto al resto delle statuette, ma per te aveva un alto significato simbolico. L’ho capito molti anni dopo, che ti riferivi alla Pasqua e a Mosè, all’epoca pensavo solo che il castello, avendo solo un soldato, fosse troppo sguarnito.
Nel mio presepino lite invece non posso fare a meno di una pecora zoppa ereditata dal nostro, la metto sempre in prima fila e la appoggio alla capanna. Le altre sono nuove, perché le statuette sono un po’ più alte e servivano pecorelle proporzionate. Non c’è spazio per l’ubriacone, però c’è il dormiglione. Lo lascio a controllare il gregge affinché le pecore non cadano, ma sai già come va a finire. La cosa triste è che ormai, coi figli grandi, ormai lo faccio da sola, con un po’ di aiuto del numero tre, che è un ottimo tramortitore di pecore, ma non sono stata brava come te a trasmettere questa passione. Mi arrabbio e divento triste, manchi tu.
Con te era bello stare insieme, progettare, inventare soluzioni, trasformare le cose serie in gioco e il gioco in un affare serissimo.
Ogni anno, quando sistemavi il grande specchio che doveva rappresentare il lago, dicevi che l’unica mancanza del nostro presepio era l’acqua vera e ti arrovellavi su come inserirla nel paesaggio senza far ammuffire ogni cosa.
Non ci siamo mai riuscite, però, e l’acqua rimaneva di carta stagnola, anche se il pescatore non se ne lagnava affatto e riusciva a pigliare un bel pesciolone.
Adesso, però, nel mio presepe, c’è la fontana. C’è anche uno sfondo di cielo stellato e colline verdi, che ho dipinto con la mia bimba più grande: questo, sì, ti sarebbe piaciuto davvero, anche se non è esattamente un dipinto da artisti, perché lo abbiamo fatto insieme, proprio come facevamo tu ed io.
Dal nostro ultimo presepio sono passati molti Natali, mamma. È passata tanta della mia storia senza di te. Eppure, ancora oggi, quando dagli scatoloni emergono le statuine, è come se fossi con me, e la gioia per il Natale imminente si tinge, mio malgrado, di nostalgia: di te, della magia che sapevi infondere in ogni cosa, dell’amore grande che avevi per me e che ci univa in modo speciale, anche senza parole.
Tu sei stata e sarai sempre uno dei doni più preziosi che ho ricevuto, anche se per poco tempo e con tanto dolore.
Così, mamma, questa fontanella zampillante è, in un certo senso, il mio dono per te, il mio modo per dirti che ciò che siamo state non andrà mai perduto; che, se nella mia vita, come in questo presepio, davvero può nascere l’Uomo Nuovo, è stato anche grazie a te e a come mi hai insegnato ad amare. Grazie dei ricordi che mi hai lasciato e…
Buon Natale, mamma.
Testo ripreso da un racconto di alcuni anni fa- in memoria di Aldina, una mamma indimenticata.