Le malattie veneree nella Londra vittoriana

Le malattie veneree nella Londra vittoriana

Le malattie veneree nella Londra vittoriana sono una piaga che cresce e si sviluppa di pari passo all’urbanizzazione, al peggioramento delle condizioni di vita delle classi più basse e all’aumento esponenziale della prostituzione.

Ma non solo fra i poveri, sifilide e gonorrea mietono vittime: questi terribili mali non risparmiano nemmeno i più ricchi, così come le donne e i bambini.

Le malattie veneree nella Londra vittoriana

Le malattie veneree

Le malattie veneree sono, oggi definite “malattie a trasmissione sessuale”: nell’800 e prima, una definizione così accurata sarebbe stata indecente, e così, si parlava di “sacrificio a venere” quando i maschietti avevano rapporti sessuali. E le donne? Erano le Veneri tentatrici che causavano la malattia, o le vittime inconsapevoli della promiscuità dei mariti.

Oggi essere colpiti da queste malattie è relativamente grave, sempre che ci si trovi un zone del mondo dove sono disponibili antibiotici e cure: la mortalità della sifilide, per esempio, se non trattata è dall’8 al 58%, con incidenza maggiore nella popolazione maschile, molto minore grazie ai trattamenti moderni.

Le malattie veneree più diffuse in epoca vittoriana erano la sifilide e la gonorrea, molto meno presenti altre forme.

La sifilide è fra le due la più pericolosa e insidiosa, non solo per la letalità ma anche per capacità di contagio: può diventare una tara di famiglia, perché non solo si può trasmettere all’interno di una coppia in seguito a rapporti sessuali, ma si trasmette anche dalla madre al feto attraverso il sangue, dando origine a una forma nota come sifilide congenita, oppure attraverso il contatto del neonato col canale del parto (sifilide connatale).

La sifilide si manifesta attraverso tre stadi distinti, con sintomi diversi.

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naso a sella, sifilide terziaria.

Sifilide primaria.

Dal momento del contagio Il primo sintomo è chiamato sifiloma, ed è un’ulcera che compare sull’organo dal quale è avvenuto il contagio. Non sempre questo sifiloma è visibile in esterno, e non è doloroso, per cui capita che i malati ancora non si rendano conto di essere contagiati e contagiosi. L’ulcera guarisce spontaneamente senza esiti nel giro 3-6 settimane, ma la malattia continua il suo corso.

Sifilide secondaria.

Da questo stadio in poi, non si può più ignorare la malattia: compare infatti una tipica sfogazione di macchie-papule rossastre, che si diffonde su tronco, arti escludendo il volto.

Febbre, perdita di appetito, nausea e stanchezza accompagnano questa fase. Possono verificarsi anche mal di testa (sintomo di meningite), perdita dell’udito (otite), problemi di equilibrio (labirintite), disturbi visivi retinite o uveite) e dolore osseo (periostite).

Anche senza trattamento, nel giro di qualche settimana la dermatite sifilitica scompare, ma la malattia non è certo guarita: se non trattato, il paziente va incontro alla forma terziaria, che determina un aggravamento molto serio.

Sifilide terziaria.

I sintomi della terziaria compaiono molto tempo dopo il manifestarsi della secondaria: anni, che posso essere addirittura 15 o venti. Durante tutto questo tempo, il paziente è contagioso, anche se meno di quando manifesta i sintomi della seconda fase, mentre nella terziaria non è più contagioso.

Questa fase può presentare sintomi di vario tipo e di varia gravità: la neurosifilide può comportare persino paresi o pazzia.

La sifilide viene segnalata per la prima volta nel periodo della scoperta delle Americhe, ancora oggi si discute sull’origine, per quanto si pensi sia arrivata in Europa portata dal nuovo continente.

In assenza di conoscenze microbiologiche, la sifilide è un male pressoché è incurabile.

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Le malattie veneree nella Londra vittoriana – La sifilide

La Londra vittoriana era, soprattutto relativamente ai quartieri più poveri, quasi una fogna a cielo aperto. La sovrappopolazione aveva portato alla nascita di quartieri poverissimi, fatiscenti, sovrappopolati, nei quali sporcizia, malattie, malnutrizione, malavita e prostituzione erano all’ordine del giorno.

La metà dell’800 è uno spartiacque per le condizioni negli slums, così come per la medicina e la tecnologia.

Le epidemie di colera hanno attirato l’attenzione dei politici sulle pressanti questioni sanitarie, rese ancor più manifeste dall’episodio della Grande Puzza di Londra del 1858.

Mentre da un lato si cerca di migliorare il sistema idrico e fognario per rendere più salubre una città che assomiglia a una piaga infetta, altre malattie tormentano la popolazione, colpendola da ogni parte.

Fra queste le malattie veneree, che diventano un problema così serio da costringere il Parlamento ad arrivare, nel 1864, a varare il Contagious Diseases Acts, che verrà modificato nel 66 e nel 69.

La sifilide nella società vittoriana

Se la trasmissione sessuale era stata chiara fin dall’inizio, tanto da far appunto definire veneree le malattie contratte attraverso rapporti, chiaro non era né come combatterle né come arginare i contagi.

Nelle grandi città, la prostituzione è una piaga in crescita, una sorta di alternativa per le donne che non trovano posto nelle fabbriche o che per vari motivi, necessitano di guadagnare meglio: spesso i lavori “onesti” erano sottopagati e le lavoratrici molto più a rischio di licenziamento rispetto alle controparti maschili. Rapporti giudiziari degli anni dal 1857 al 1869 mostrano che le prostitute erano più comuni nei porti commerciali e nei centri di svago e meno nelle città di ferramenta, centri di produzione di cotone e lino e centri di lana e lana. In ogni caso, le donne che sceglievano la prostituzione erano tantissime, tanto che nell’Inghilterra vittoriana era la quarta occupazione più importante per la popolazione femminile.

Una tale quantità di lavoratrici era commisurata alla richiesta, in particolare fra le classi sociali più basse, in particolare fra marinai e soldati che trascorrevano lunghi periodi lontani da casa: non a caso, furono i medici militari fra i primi a segnalare, nel 1400 l’esordio della sifilide che venne definito “mal francese”, in quanto presente, per la prima volta in Europa, fra le truppe francesi.
Le malattie veneree nella Londra vittoriana

Sifilide, un solo male e tanti nomi…

Ben presto, la sifilide però prese il nome, in generale, dalle truppe nemiche: La sifilide aveva una varietà di nomi, di solito le persone lo chiamavano come un nemico o un paese che ritenevano responsabile. I francesi la chiamarono la “malattia napoletana”, la “malattia di Napoli” o la “malattia spagnola”, e in seguito grande verole o grosse verole, la “grande varicella”; gli inglesi e gli italiani la chiamarono appunto “malattia francese”, la “Malattia gallica”, il “morbus Gallicus” , o “varicella francese”; i tedeschi, ancehe loro affezionati ai francesi, lo chiamavano il “male francese”, gli scozzesi lo chiamavano “grandgore””, i russi la chiamavano” malattia polacca “, i polacchi e i persiani la chiamavano” malattia turca “, il turco la chiamava” malattia cristiana “, i tahitiani la chiamavano” malattia britannica “… in India si chiamava la “malattia portoghese”, in Giappone era chiamata “varicella cinese”, e ci sono alcuni riferimenti ad essa che si chiama “fuoco persiano”. Insomma, la colpa è sempre degli altri: e questo, in effetti, è l’approccio che avrà la politica inglese per il contenimento del morbo.

Alla fine, il termine che definirà il Treponema pallidum (il batterio che determina la malattia) resterà per tutti sifilide, dal nome di un personaggio, Sifilo, un personaggio delle metamorfosi di Ovidio.

La sifilide e l’esercito inglese

I maggiori clienti delle prostitute erano i militari, per diversi motivi. Il primo, era che pochissimi di loro, e principalmente ufficiali, avevano possibilità di sposarsi.

Tutti gli altri, vivevano in caserme in condizioni di igiene molto precaria, in camere troppo affollate e in condizioni molto dure.

Nel 1864, un malato su tre nell’esercito era affetto da una malattia venerea; i ricoveri negli ospedali per gonorrea e sifilide raggiunsero 290,7 per 1.000 della forza totale delle truppe.

Numeri molto alti, che richiedevano un intervento da parte della legislazione.

Lock Hospital nel 1890

Contagious Diseases Acts

La soluzione più ovvia era regolamentare la prostituzione, o meglio, monitorare lo stato di salute delle prostitute. Fra gli oppositori alla creazione di questa legge ci fu anche Florence Nightingale, ma il suo intervento, come quello di altri contrari a questa scelta politica, ebbe solo il risultato di rimandarne il varo.

La legge consentiva agli agenti di polizia di arrestare le donne sospettate di essere prostitute in alcuni porti e città in cui era stanziato l’esercito; le arrestate venivano poi sottoposte a controlli obbligatori per evidenziare se fossero affette da malattie veneree. Quando veniva accertata l’infezione, la malcapitata veniva segregata in un “ospedale chiuso” (lock hospital) fino a quando non fosse guarita o al termine della sentenza. L’atto originale si applicava solo ad alcuni porti navali e città dell’esercito selezionati, ma nel 1869 gli atti erano stati estesi fino a coprire diciotto “distretti sottoposti”.

La legge del 1864 stabiliva che le donne risultate infette potevano essere internate in ospedali chiusi per un massimo di tre mesi, un periodo gradualmente esteso a un anno con la legge del 1869. Queste misure erano giustificate da funzionari medici e militari come il metodo più efficace per proteggere gli uomini dalle malattie veneree. Poiché i militari erano spesso celibi e l’omosessualità era criminale (punita col carcere duro e lavori forzati), la prostituzione era considerata un male necessario.

Quello che tuttavia stupisce, è che nessun tipo di esame, misura o precauzione era prevista per i clienti.

Dopo il 1866 furono presentate proposte per estendere gli atti al nord dell’Inghilterra e alla popolazione civile. Si pensava che queste misure, oltre a fermare le malattie, avrebbero dato un notevole contributo alla lotta contro la prostituzione.

L’evidente ingiustizia di cui le donne erano vittime fece mobilitare i movimenti femministi, che denunciarono i maltrattamenti subiti dalle arrestate in campagne di sensibilizzazione che, a lungo andare, riuscirono a fare breccia e a far abrogare la legge.

Fra le attiviste citiamo Elizabeth Garrett, Josephine Butler, Millicent Fawcett.

A Londra, il primo ospedale a ospitare malati di sifilide fu il London Lock Hospital, fondato nel 1747. In seguito, sarà riconvertito in clinica ostetrica.

Nel 1867 fi fondata la Ladies National Association for the Repeal of the Contagious Diseases Acts was, nel 1869 la National Association for the Repeal of the Contagious Diseases Acts: entrambi i gruppi hanno fatto una campagna attiva contro gli atti e tra il 1870 e il 1885 sono state presentate 17.365 petizioni contro gli atti recanti 2.606.429 firme. L’abrogazione tuttavia arrivò solo nel 1886.

Le malattie veneree nella Londra vittoriana

Trattamento della sifilide in epoca vittoriana

Fino al 19 ° secolo, c’era ancora molta confusione sul fatto che la sifilide e la gonorrea fossero manifestazioni della stessa malattia. Nel 1838 Philippe Ricord, un medico chirurgo che lavorava sotto Guillaume Dupuytren, un anatomista e chirurgo militare francese, stabilì fermamente che la sifilide e la gonorrea erano malattie separate; i due medici riuscirono a differenziare le tre fasi della sifilide: per questo, alla lesione primaria della sifilide fu dato il nome di Chancre de Ricord.

Nel 1861 Jonathan Hutchinson, chirurgo all’ospedale di Londra, descrisse le caratteristiche della sifilide congenita.

Nel 1893 Jean-Alfred Fournier, un dermatologo francese che lavorava come sostituto di Ricord, pubblicò un lavoro sul trattamento della malattia ma avvertì che non c’era cura.

Fin dalla prima manifestazione di questa malattia furono tante le cure tentate per salvare i pazienti, ma quasi tutti i tentativi – più empirici che altro – risultarono inutili.

Il trattamento principale, l’’unico a dimostrare un qualche risultato, fu il mercurio, tanto da generare un detto: una notte con venere, una vita con mercurio, ancora in voga in epoca vittoriana.

Da secoli, infatti, l’unica miscela ad avere qualche efficacia era stata quella a base di sali e composti di mercurio, arsenico e bismuto.

In epoca vittoriana, questa era ancora l’unica cura disponibile: bisognerà aspettare il 1907 per trovare in commercio il Salvarsan, il primo chemioterapico sintetizzato dall’uomo, attivo contro la sifilide.

Se il Salvarsan non era privo di effetti collaterali (conteneva arsenico pure lui), ancora meno lo erano le cure tradizionali: non a caso, il mercurio e l’arsenico erano già noti, coi loro effetti tossici, come cause della pazzia dei cappellai.

In età vittoriana, tuttavia, ancora vigeva il principio che una sostanza tossica, assunta in piccole quantità, non arrecasse danni. La sifilide, considerata grave e talvolta incurabile, faceva vedere la cura come un male minore, i cui effetti collaterali non erano peggiori dei sintomi della malattia.

Le malattie veneree nella Londra vittoriana
Florence Nightingale

La cura della sifilide negli ospedali chiusi

Abbiamo un’idea delle cure da William Acton, in Prostitution, un testo del 1870. Il testo seguente potrebbe turbare persone particolarmente sensibili.

Ero ansioso di vedere il lavoro del Government Lock Hospital esistente, e il signor J. Lane mi ha gentilmente permesso di accompagnarlo e mi ha spiegato tutto sulla mia visita nell’ottobre 1868.

I pazienti (femmina) sono alloggiati in una nuova ala; i reparti sono alti e mantenuti scrupolosamente puliti. Ogni detenuta ha un letto separato, dotato di tre coperte e un materasso, una coperta in più che viene data in inverno. Ogni paziente ha due tazze di metallo, una mezza pinta e un barattolo di latta, con un cucchiaio di peltro e un coltello e una forchetta d’acciaio; e una piccola scatola in cui può tenere le sue cose è posta vicino al suo letto. Ai pazienti non è permesso di entrare in altri reparti, ma c’è una corte aperta in cui si esercitano e hanno una sorta di abito ospedaliero al posto dei propri abiti, che sono lasciati sotto la cura della matrona. Alla testata del letto è appeso un asciugamano.

In una stanzetta in fondo al reparto è presente acqua  pulita e catini di rame sono appesi a una catena al muro; questi catini sono presenti per permettere alle donne di lavarsi la faccia. Questa disposizione è stata appositamente studiata per prevenire ogni possibile contagio. Fissato al pavimento c’è un bidet, su cui possono lavarsi. C’è qui un dispositivo ammirevole per facilitare la pulizia delle parti intime; qui con una siringa di ottone, con una lunga palla di peltro, che contiene circa sei once, la paziente si inietta la lozione  disinfettante e il liquido di scarico fuoriesce aprendo una spina fissata nella parte inferiore del bidet. L’unico miglioramento che potrei suggerire era che ogni paziente ricevesse due piccoli tovaglioli per asciugare gli organi dopo l’iniezione. La paziente deve sempre  farsi un’iniezione prima di presentarsi al chirurgo.

Le ispezioni vengono condotte nel modo seguente. Le donne vengono introdotte una alla volta dai reparti da un’infermiera in una stanza speciale, contenente un letto correttamente sollevato, con le staffe, simile a quello in uso nel Continente. La paziente sale i gradini posti accanto al letto, si sdraia, mette i piedi nelle staffe disposte allo scopo e il chirurgo separa le labbra per vedere se ci sono piaghe. Se non esiste alcun sospetto su questi e se la femmina soffre di dimissione, lo speculum viene subito impiegato. In questa istituzione vengono utilizzate diverse dimensioni, che sono argentate e ricoperte di gomma india. L’infermiera dopo ogni esame lava lo speculum in una soluzione di permanganato di potassa, quindi lo pulisce con cura, lo olia pronto per l’esame successivo, in modo che il chirurgo non perda tempo, e gli esami vengono condotti con grande rapidità. Nel giro di un’ora e tre quarti ho assistito all’esame approfondito di 58 donne con lo speculum.

Il signor J. Lane, in un recente documento, ha descritto così bene il metodo di trattamento da lui adottato, che ne darò un resoconto con le sue stesse parole:

Dall’ammissione dei pazienti in questo ospedale, (…) il trattamento delle dimissioni uterine e vaginali ha costituito una grande parte della sua pratica.

Queste pazienti sono, per la maggior parte, ragazze forti e sane, di età compresa tra 17 e 25 anni, ben nutrite e in buone condizioni. La loro malattia sembra essere interamente locale, sia nella sua origine che nel suo carattere. Nasce, come credo, nella stragrande maggioranza dei casi, semplicemente dalla continua irritazione ed eccitazione degli organi generativi conseguenti al loro modo di vivere, sebbene possa essere causato, senza dubbio, occasionalmente da contagio diretto da scariche uretrali nel maschio.

La secrezione, quando vengono per la prima volta sotto osservazione, ha un carattere ovviamente purulento o muco-purulento e la prova della sua contagiosità è fornita dal fatto (come sono informato) che quasi tutti sono stati accusate di aver trasmesso la malattia prima di essere sottoposto ad esame. È degno di nota quanto poco queste pazienti siano affette da dolore o inconvenienti; di solito non si lamentano affatto, e molte di loro non sono consapevoli di quale sia il motivo della visita, anche se, quando vengono esaminate con lo speculum, viene trovata nella parte superiore della vagina una scarica abbondante, derivata principalmente dall’utero. Associato a questo, specialmente nei casi più cronici, sono evidenti abrasioni ed escoriazioni dell’epitelio; ulcerazioni superficiali sulla porzione vaginale della cervice uterina sono molto frequenti. Qualunque cosa si avvicini a una condizione infiammatoria, alla quale potrebbero essere applicati i termini di gonorrea acuta o vaginite, è rara, e quando incontrata, di solito è in ragazze giovani, non ancora abituate a una vita di prostituzione. Complicazioni accidentali, di carattere doloroso, come ascesso labiale o bubo infiammatorio, sono occasionalmente osservate, ma non si verificano frequentemente.

Illustrazione del 1885

Un solo esame esterno non è sufficiente per la scoperta dei sintomi. Le secrezioni purulente dalla vulva o dalla parte inferiore della vagina sono, ovviamente, abbastanza evidenti; ma può essere presente una scarica uterina profusa e nessuna traccia di essa è visibile fino a quando non viene impiegato lo speculum. (…)

Il piano comunemente perseguito al Lock Hospital è di fare in modo che i pazienti usino iniezioni vaginali per se stesse tre o quattro volte al giorno. Le lozioni impiegate sono i subacetati plumbei di liquore diluito, o soluzioni di solfato di zinco, allume o tannino, nella proporzione di cinque granuli all’oncia d’acqua. Le siringhe sono abbastanza grandi da contenere sei once di lozione e hanno un tubo abbastanza lungo da raggiungere prontamente la parte superiore della vagina. Entrambi questi punti sono importanti, poiché le siringhe comunemente utilizzate non conterranno liquido sufficiente per lavare efficacemente il canale e il tubo fissato su di essi non ammetterà affatto che raggiunga la parte superiore della vagina. Quando la mucosa vaginale è infiammata e tenera, il chirurgo, quando viene utilizzato lo speculum, che è almeno due volte a settimana in tutti questi casi, inserisce una striscia di lanugine immersa nella lozione di piombo, e lasciato agire per tre o quattro ore. Se l’infiammazione è acuta, l’applicazione della striscia di lanugine viene ripetuta quotidianamente attraverso un piccolo speculum. Con questi mezzi, gli scarichi che provengono dalla vagina possono di solito essere curati in pochi giorni, ma le iniezioni devono essere continuate fino a quando si osservano eventuali secrezioni uterine anormali, poiché queste ultime, se non vengono frequentemente lavate via, rischiano di ripresentarsi.

https://www.victorianlondon.org/disease/venerealdisease.htm

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