Gli irregolari di Baker Street: politically correct o historically correct?
Da Bridgerton a Gli Irregolari di Baker Street il period drama sempre meno storicamente corretto: meglio politically correct o historically correct?
Non storico ma storico.
Tutto comincia con Marie Antoinette di Sofia Coppola. Forse comincia prima, tanto tanto tempo fa, quando Lawrence Olivier recitava nei “panni” di Mr. Darcy ma non del tutto, perché tutto l’insieme dei costumi è del tutto fuori periodo storico.
Se scrivere storico è difficile, portarlo sullo schermo è ancora più difficile, perché rispettare ambientazioni, costumi, acconciature è complesso. Basta un particolare fuori posto e c’è la caduta rovinosa agli occhi dei puristi conoscitori del periodo di riferimento.
Prendiamo Bridgerton: storico, sì, ma non storico, perché il serial si fa vessillo di un nuovo modo di raccontare l’800, in una specie di distopia dove tutto è permesso, un duca inglesissimo può essere di colore, dove il glitter fa parte del make up, la scollatura del vestito può essere vertiginosa… ma con Bridgerton stiamo raccontando una specie di fiaba per adulti, in abiti pseudo d’epoca.
Gli irregolari di Baker Street non si discostano da questa linea. Però qui si va a toccare uno scoglio molto duro, quello di Holmes, che ha una tradizione da rispettare e che solo poco tempo fa stato protagonista di un altro acceso dibattito, quello riguardo a Enola Holmes.
Enola Holmes, la sorella che non c’era: politically correct o historically correct?
Enola Holmes è un serial che segue le vicende di una giovane investigatrice, sorella del celebre Sherlock, in una sfilza di avventure. Nata come protagonista di una serie di romanzi per ragazzi, Enola è approdata con grande successo di pubblico su Netflix. Ma gli eredi di Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930), inventore del personaggio di Sherlock, hanno citato per violazione di copyright tutti coloro che sono stati coinvolti nella creazione della serie: Netflix in primis, ma anche il regista Harry Bradbeer, lo sceneggiatore Jack Thorne, l’intera produzione e l’autrice dei romanzi da cui è tratto il film, Nancy Springer, oltre alla casa editrice Penguin Random House che ha pubblicato l’opera. L’accusa era legata a una serie di racconti scritti nel primo ventennio del Novecento, i cui diritti erano ancora attivi. Ma collegare la serie a quei racconti specifici non fu possibile e l’accusa finì in nulla.
Enola ha avuto il merito di riaccendere (anche grazie a questa causa) l’interesse verso il mondo di Holmes, oggi divenuto molto ampio e variegato, portato avanti da tanti autori che ne raccontano le avventure.
Arrivano gli irregolari di Baker Street: non historically correct!
Ed ecco che arrivano gli Irregolari di Backer street, a mescolare un po’ tutte le carte: prendendo un’atmosfera da qui, uno spunto da là, si costruisce una storia nuova che, se non fosse che si sentono più volte i nomi dei personaggi di Doyle, non crederesti mai che questa storia abbia qualcosa a che fare con il celebre investigatore.
Una bella manovra usare i nomi, proiettando in un promo momento lo spettatore in una Londra vittoriana meravigliosamente putrida che quasi senti l’odore degli slums.
Poi vabbè, ci metti un intero episodio per capire che Bea e Jesse sonno sorelle per davvero, perché una è asiatica e l’altra no.
Qui entriamo nel gioco di Bridgerton, in cui non devo mai fare caso al colore del personaggio, o a nessun’altra caratteristica, perché così è corretto per tutto, pero, dai, potevano venire incontro agli utenti più utonti come me: per un bel pezzo ho aspettato un complotto, un accenno all’adozione, un motivo per cui fossero così esplicitamente diverse. No.
Watson è di pelle nera, ma la cosa che turba è che qui sia una specie di damerino odiosissimo e manipolatore. Una cosa tipo “Voi siete le pulci del mondo, io sono un nuovo dio”. Dalla sua bocca, ebbene sì, escono frasi del tipo “vi distruggerò”. No, non sto parlando di un anime giapponese.
Non è il dottor Watson, ma un uomo che ha il suo stesso nome e per una strana casualità vive con un geniale investigatore nella via famosa per le vicende di una serie di romanzi…
Ma fino a qui, stiamo al gioco. Bridgerton ci ha insegnato ad accettare questo tipo di soprese.
Anche coi costumi.
L’abbigliamento dei period drama: politically correct o historically correct?
Noi che amiamo il passato, amiamo i costumi d’epoca ben fatti. Accettiamo anche qualche licenza poetica, ma quando a una festa a corte cominciamo a vedere fiocchi enormi, scollature improponibili, stili che richiamano gli anni ’60 del Novecento abbinati a bigiotteria volgarotta… il boccone si fa amaro.
Ma va anche giù… fino a che non ti rendi conto che la giovane popolana che vive nei bassifondi usa parole come “clone” più volte nell’arco di una giornata. E conosce il significato di parole difficilissime, e si incavola se qualcuno mette in dubbio che lo sappia davvero. Ha diciassette anni e una cultura che nemmeno una dama educata in collegio ne sa di più.
Vivere nei bassifondi non le ha insegnato a fare bene gli inchini, però sa leggere e scrivere benissimo, tanto da aiutare un giovane principe a risolvere enigmi di ogni genere. Un principe che è proprio vero: Leopold, duca di Albany (1853–1884), ottavo figlio di Vittoria; lui sì, proprio come dicono nella serie, fu il primo membro della famiglia a manifestare i sintomi dell’emofilia.
E allora?
E allora, si chiederanno i miei piccoli lettori.
Niente, me la guarderò tutta, ridendo – ma con una lieve apprensione – delle stoltezze e castronerie che incontrerò, e pazienza se il paranormale è trattato un po’ così, a caso, e se i conti (o i duchi) non sempre tornano. Mi preoccupa l’inesattezza storica che nasce come politically correct o distopica o quel che vuoi, ma che a lungo andare vengono scambiate per verità universalmente riconosciute. Non è il colore dei personaggi, così palese da non ingannare dal punto di vista storico, quanto da tutto quell’insieme di particolari che fanno inesatta la storia, ma al punto di ridurla a una miscellanea tale da non capire più dove sta il bandolo della matassa.
Una scarpetta, un cappellino, e già siamo altrove, credendo di essere nell’800, ma un 800 che non c’è. Non solo nell’apparenza, ma nella sostanza.
E il paranormale in Gli Irregolari di Baker Street?
Sì, ce n’è tanto, forse troppo, per chi ama davvero la compostezza british di Sherlock Holmes. Ma con questa serie siamo ben oltre una derivazione, si tratta di una storia a sé, che con i personaggi e le ambientazioni originali ha davvero poco a che fare. SI tratta di una serie per giovani, con protagonisti adolescenti molto fantasy, in una storia che ptorebbbe definirsi urban fantasy storico. O distopico. Insomma, una serie che, da qualunque parte la si guardi, esce dagli schemi: ecco, questa è una cosa che fa bene. Sorprende nel bene o nel male, sa suscitare emozioni nel lettore. Non è The Frankenstein Chronicles, non è The Alienist, ma potrebbe essere un buon serial per far conoscere ai teenager le atmosfere victorian.
Per essere precisi…
Gli irregolari di Backer Street prende il nome da un romanzo di Anthony Boucher, del 1940. Qui però si trattava di una storia contemporanea che aveva per protagonisti dei fans di Holmes invitati su un set cinematografico e alle prese con un omicidio vero.
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