Caro Professore

Caro Professor Anelli,

Avrei dovuto scriverle o dirle tanto tempo fa queste parole, ma gli ex studenti spesso sono ingrati come  figli, si tengono l’affetto e i benefici nel cuore finché non è troppo tardi e poi piangono per le troppe cose  non dette. Viviamo così, correndo sempre,  senza mai giungere il fine, e i rimpianti arrivano come macigni quando la via si fa stretta e si comprende che non si può più rimediare.

Arrivata ai fatidici cinquanta, i bilanci sono tanti, spesso in negativo.  Gli anni del liceo, ora lo comprendo bene, sono stati i migliori della mia vita, quelli in cui ho potuto essere davvero me stessa, per quanto goffa, buffa, ansiosa, agitata. Innamorata della letteratura e della scrittura. Se quella fiamma non si è mai spenta, se oggi nonostante tutto ancora quella passione arde e non è un fuoco fatuo è grazie a lei e a insegnanti come lei che hanno  creduto in me, anche quando io non ci credevo. Sono una cinquantenne goffa, buffa, ansiosa, agitata, innamorata della letteratura e della scrittura.

Quante volte le ho promesso  di venirla a trovare, e non ho mai trovato poi il coraggio di farlo! La verità è che mi vergognavo di me, di non essere riuscita a fare come sognavo della penna un lavoro, di scrivere qualcosa che valesse la  pena portarle in dono. Qualcosa che valesse almeno una piccola parte di quanto, coi suoi insegnamenti, avevo ricevuto da lei.

In questi anni ci siamo incontrati così tante volte, in giro per la  città! Lei col suo passo flemmatico, io di volta in volta con carrozzina, passeggino, trafelata in bicicletta, poi tutta fiera col quadernetto da giornalista per la Cronaca alla Ricci Oddi, e allora sì, dicevo fra me e me: “guardi, prof, ha visto? Ha visto? La casalinga dottoressa della pastasciutta finalmente scrive di cultura!”.

E ancora passeggino, e libri rosa, e ottocento inglese, e questa vecchia ex alunna sempre più imbarazzata. Mi vesto da damina, per promuovere i miei libri, non ho un editore, ma scrivo articoli sulla storia inglese. Ho solo una stupida laurea magistrale sulla pastasciutta. Certo, posso parlare con una certa competenza di spore, muffe  e funghi nella contaminazione delle derrate alimentari, so cambiare un pannolino con una mano sola. Ma che cosa le racconto, professore? Persino la mia famiglia è vagamente imbarazzata da come affronto la letteratura: non sono seria. Faccio parlare pupazzi da più di vent’anni, potrebbe essere differente?

Una volta, lei mi disse che pensare confonde le idee, e se questo era vero per me a diciassette anni, adesso lo è ancora  di più. Adesso sono una maionese impazzita, confusa peggio delle lettere di Scarabeo. Non ce l’ho fatta, prof. Ho sbagliato tante strade e non le ho potuto portare un bel libro serio, di cui essere fiera e di cui sarebbe stato fiero. Ho pensato troppo e mi sono confusa, ma questo mi ha permesso, almeno di girovagare per la città, e adesso vedo che un senso c’è stato. Ci siamo incontrati tante volte, noi due. Ha visto crescere me, la mia famiglia. Le ho raccontato di tutti i miei sciocchi libri, del mio dispiacere di non essere una “vera” letterata, ho sorriso del suo stupore quando mi ha visto per la prima volta fare la giornalista. Ho avuto sue notizie per vie impensabili quando l’età e la malattia hanno reso impossibile che ci incontrassimo, ancora una volta, per caso.  È stato sempre nei miei pensieri e nei miei ricordi.

Aveva proprio ragione: pensare confonde le idee. Ma il guaio è che adesso  sono diventata anche troppo emotiva e impulsiva, tanto che volevo scrivere un bel pensiero colto da ottocentology, come direbbe qualcuno, passando dai Sepolcri ai Poeti Maledetti, per atterrare ai miei luttuosi vittoriani, e invece son rimasta qui a piangere sciogliendomi nel ricordo, nel mio mondo in cui il tempo perde confini, ieri è dopo oggi, il treno a vapore  sta partire, se mi concentro posso sentire la risata della mamma, nell’altra stanza c’è la mia Invicta pronta come un macigno e, se sono fortunata, a scuola troverò compito in classe di italiano e non di greco, perché di quello proprio non mi ricordo nulla.

Buon viaggio, professore. Dopotutto, i libri ci insegnano che la fine del viaggio è sempre l’inizio.

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