Il mio Labyrinth

Questa è un po’ una fiaba. Una di quelle tristi, però, che vorrebbero avere un lieto fine ma non ce l’hanno.

La racconto per ricordare un artista che da poco ha perso la sua battaglia contro al cancro: David Bowie.

Questa è una storia di vite che si intrecciano e di casi che forse fortuiti non sono.

Tutto cominciò con una mamma malata, tanto tempo fa. Cominciò in un pomeriggio di tardo autunno.

La città si era già accesa delle luminarie natalizie e si sentiva nell’aria la voglia di festa, soprattutto nelle vie del centro fra i negozi addobbati e i bar pieni di vita.

Ero in quell’età in cui ci si affaccia sul mondo sconosciuto dell’adolescenza, ma all’epoca mi sentivo molto bambina, immersa ancora nei miei sogni. Vivevo di bambole, libri, racconti e poesie. Credevo che nulla potesse davvero turbare quella serenità, nemmeno la malattia di mia madre: non esisteva, nella mia mente, neppure la remota possibilità che me la portasse via. Dalle malattie si guariva. Dalle malattie mia madre non poteva che guarire, non era concepibile che le cose andassero diversamente.

La mia bolla di sapone era destinata a svanire molto presto, ma io non lo sapevo e così vivevo quei giorni strani in uno stato di fiduciosa incoscienza, aspettando con largo anticipo il Natale che, come ogni anno, avrebbe portato tanta magia nella nostra famiglia. Come immaginare che il Natale sarebbe stato solo grigiore e vuoto? Come immaginare che sarebbe stato il primo senza di lei?

Curioso come certi ricordi si stampino nella mente. Indelebile, nella mia mente, è rimasta la memoria di quando, quel pomeriggio di inizio dicembre, insieme alla mia madrina andai in libreria in cerca di una nuova lettura. Di solito era la mamma che mi accompagnava in cerca di libri, ma la malattia l’aveva costretta a letto e non era stata in grado di uscire.

Labyrinth era lì, con la sua bella copertina, il re dei folletti che mi fissava ambiguo e un po’ terrificante dall’alto di una delle più belle immagini che avessi mai visto.

C’erano creature incantate, un castello con bianche torri e al centro una giovane con indosso un vestito fiabesco. C’era tutto ciò che amavo di più.

Conoscevo già quel disegnatore, Froud, perché avevo altri libri sulle fate illustrati da lui. Erano il mio tesoro più grande.

La scelta fu immediata e Labyrinth venne a casa con me.

Era il libro che stavo leggendo quando mia madre morì.

La notte in cui la mamma volò in cielo ero ospite di un’amica, dove mi avevano mandata all’aggravarsi delle sue condizioni.  Io non sapevo nulla del reale motivo per cui mi avevano mandata lì, troppo tardi avevano cominciato ad accennarmi che la situazione era grave e io non avevo avuto tempo sufficiente per prepararmi alla realtà. Per me si trattava di un ricovero per farle passare prima quei brutti dolori, nulla di più di quanto era già capitato. Sciocca bambina, che credeva nella magia, che sognava di folletti e fatine mentre la sua mamma agonizzava: quando lei lasciava questo mondo, io stavo raccontando alla mia amica proprio Labyrinth. Anche questi sono ricordi indelebili.

Labyrynth era il libro che mi accompagnò in un’altra trasferta, da casa della mia amica a quella della mia madrina, che mi avrebbe tenuta con sé nei giorni successivi affinché non vivessi il dramma dei preparativi del funerale.

Labyrinth era libro che mi accompagnò nel lutto, il libro nel quale proiettai il mio personale labirinto.

David Bowie, per tanto tempo, per me rappresentò il re dei folletti. Furono le sue canzoni a traghettarmi nell’adolescenza, a fare da colonna sonora alle prime pagine dei miei scritti.

Furono le pagine di quel libro e le immagini del film a entrare prepotentemente nel mio immaginario e ad aiutarmi a dare forma al mio dolore.

Perdonatemi se come milioni di altre persone oggi lo ricordo, un po’ scioccamente, come se fosse un amico.

In un modo unico, devo dire che lo è stato. Forse non lui, ma certo la sua musica, i suoi personaggi hanno dato un’impronta speciale agli anni difficili seguiti alla perdita della mamma, mi hanno dato modo di affrontare il lutto.

Scrivo questo post sapendo che anche lui è passato attraverso quella orrida bestia che è il cancro, che la sua famiglia ha vissuto un percorso come quello vissuto da noi tanti anni fa.

Come tante famiglie nelle quali entra la malattia e cambia le cose.

Scrivo questo post perché i ricordi ieri sono tornati prepotenti a spingere nel mio cuore. Ha ragione Lisa, una cara amica che ha visto cose che io non vedevo: c’è una storia da raccontare. C’è un mondo che rischia di andare perduto se non trovo la forza di vincere la mia paura. Ecco, un altro tassello sembra infilarsi nel rompicapo, un altra parete si erge a mostrarmi la via nel mio labirinto, che alla fine è sempre lì, magico, misterioso, invitante, che mi aspetta.

Se ho scritto tanto fantasy un motivo c’è.

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