Maggie Dickson: La donna che visse due volte

Maggie Dickson: La donna che visse due volte

Maggie Dickson è diventata famosa per essere stata condannata a morte per impiccagione, ma poiché sopravvisse alla corda, fu graziata e liberata. In seguito a questo caso fu aggiunta alle condanne capitali la frase “finché morte non sopraggiunga”.

Madame Margaret “Maggie” Dickson nacque intorno al 1702 nella poco ridente cittadina di Musselburgh, in Scozia. La sua esistenza fu costellata dal duro lavoro, dalla povertà e da scelte amorose poco ortodosse per l’epoca. Svolgeva il lavoro di pescivendola, poiché suo marito era un pescatore, ma da quest’ultimo fu abbandonata nel 1723 con due figli a carico. Questo abbandono la costrinse a lasciare la città natale e a trasferirsi a Kelso. Qui Maggie trovò lavoro presso un’osteria e cadde, come certe eroine austeniane, in una relazione clandestina con il figlio dell’oste.

La giovane aveva poco più di vent’anni, quando dal legame clandestino nacque un bambino. Maggie Dickson aveva tenuto segreta la gravidanza, ma  il piccolo nacque prematuro e fu tenuto nascosto finché non morì poci giorni dopo essere venuto alla luce.

maggie Dickson

Maggie Dickson e l’accusa di infanticidio

Per timore e disperazione, Maggie tentò di buttare nel fiume Tweed il corpicino, ma probabilmente disturbata da qualcuno finì con l’abbandonarlo sul greto: presto il piccolo fu scoperto, e la nostra eroina accusata di infanticidio. Ecco, questo nei romanzi di Jane Austen non sarebbe mai successo, ed è qui che la realtà diventa peggio di un romanzo di Hardy. Be’, no: uguale.​

La pena per l’infanticidio era la peggiore: impiccagione pubblica. Se l’aborto non aveva una legislazione specifica (il feto non aveva tutele, diventava persona dopo essere nato), l’infanticidio era un reato gravissimo e dimostrare che il bambino fosse morto senza intervento alcuno impossibile da dimostrare. Maggie Dickson fu condannata all’impiccagione nel celebre Grassmarket di Edimburgo, quello stesso luogo dove oggi si può sorseggiare un Earl Grey presso il pub che porta il suo nome, “Half-Hangit Maggie”.

Qui, però la storia si fa bizzarra: Maggie venne condotta al patibolo seguita da una folla urlante e assetata di sangue, o meglio di eventi spettacolari, impiccata, dichiarata morta, chiusa in una bara e trasportata verso il suo villaggio.

Fu proprio durante quello che doveva essere il suo ultimo viaggio, che Maggie si risvegliò con gran sorpresa dei presenti.

maggie Dickson
Memoriale nella piazza di Grossmarket nel luogo in cui avvenivano le esecuzioni

La lacuna della legge e la correzione dopo Maggie Dickson

All’epoca, la legge era molto chiara… o quasi: la condanna era “all’impiccagione”. La giovane donna era stata, a tutti gli effetti, impiccata, perciò aveva pagato il suo debito con la giustizia, quindi dopo questo singolare avvenimento fu liberata e tanti saluti.

Maggie se ne tornò al suo villaggio dove il camposanto dovette aspettare fino al 1753 prima di vederla arrivare.

All’epoca si considerò la sua vicenda come un segno divino che dimostrava la sua innocenza, anche se qualche pettegolezzo cattivello insinuò che Dickson avesse sedotto il boia per avere un cappio più sottile. Comunque siano andati i fatti, rimase una grossa questione da risolvere: graziare tutti quelli che sopravvivevano alla pena capitale?

Si dovette metter mano alla leggere e aggiungere la postilla “finché morte non sopraggiunga”, e sperare che da quel momento non capitassero più stranezze come quella. I francesi, con la ghigliottina, non ebbero mai problemi di quel tipo. No.

La pena di morte e le impiccagioni pubbliche

Nell’Inghilterra del XVIII e XIX secolo, la pena di morte era dispensata con una prodigalità che oggi ci fa rabbrividire: bastava un furto di lieve entità per ottenere un invito poco desiderabile al patibolo. La pubblicità dell’impiccagione era parte integrante dello spettacolo sociale: folle festanti si accalcavano, qualche sventurato poteva finire schiacciato dalla calca ancor prima dell’esecuzione, e alla fine, tra urla e pianti, e anche risate da parte della folla impazzita, si compiva il terribile rito. In casi speciali particolarmente gravi, le esecuzioni potevano prevedere impiccagione, sventramento e squartamento, una raffinata crudeltà riservata ai traditori del regno. In questi casi, le varie parti staccate venivano poste in luoghi strategici, molto frequentati, come monito per tutta la popolazione.

Per le donne, per fortuna o per beffa della morale, si preferiva il rogo, dato che le eviscerazioni pubbliche offendevano la decenza.​

Nei primi decenni dell’Ottocento, l’Inghilterra ammorbidì (si fa per dire) la sua ferocia, abolendo progressivamente le punizioni più teatrali, e destinando le donne, quando proprio non si poteva fare a meno, ad un’esecuzione meno “spettacolare” ma pur sempre pubblica.

In alcune casi, quando i delitti avevano fatto già fin troppo scalpore, si evitava l’esecuzione pubblica, per impedire eccessivi accalcamenti.

Fu questo il caso di Robert Catesby e dei suoi compagni, nel 1606, in seguito alla Congiura delle Polveri. I corpi poi furono comunque squartati come da copione.

L’abolizione definitiva della pena capitale giunse solo nel 1998, lasciando alle generazioni future il compito di speculare sulle nebbie della giustizia antica.

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Donne e condanne nel 1800

Nel crudo tessuto della giustizia britannica ottocentesca, le donne non trovarono particolare clemenza, benché la pubblica morale imponesse loro pene meno cruente rispetto ai maschi. Spesso bastava scivolare sulla lastra gelida della reputazione, e la donna diveniva bersaglio di condanna ed esecuzione—come dimostrano casi come quello di Mary Ann Cotton o la celebre Eliza Fenning, condannata all’impiccagione nel 1815 per presunto avvelenamento. La storia di Maggie Dickson, tuttavia, rimane uno squisito paradosso: condannata, impiccata, sopravvissuta, e infine lasciata in pace dalle severe mani della legge, quasi a suggerire che anche la giustizia, talvolta, abbia bisogno di una tazza di tè e di una buona dose di ironia scozzese.

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https://murderpedia.org/female.D/d/dickson-margaret.htm