Workhouse in epoca vittoriana – prigioni o istituzioni benefiche?

Workhouse in epoca vittoriana

In epoca vittoriana il problema della povertà era molto sentito, nelle città industriali in particolare. Vediamo la risposta nelle workhouse e nella beneficenza, ma anche in varie iniziative sociali che nascono nella seconda metà dell’800.

I poveri e il lavoro

La società in epoca vittoriana era in rapido mutamento. Le città, con la prima e la seconda rivoluzione industriale, stavano crescendo in modo incontrollato, vecchi quartieri, nati per ospitare famiglie della medio e bassa borghesia, diventano fatiscenti formicai, nei quali le case vengono frazionate in appartamenti sempre più piccoli, fino a diventare dormitori, nel quali si affittano lettucci luridi per poche ore.

Londra in particolare, si trasforma: quartieri come Whitechapel, St. James… East London viene persino chiamata “Darkest London”: nessun cittadino rispettabile si avventura fra le strade sporche, affollate, pericolose di questa zona.

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I bassifondi londinesi, slums,  cominciano a formarsi alla metà del diciottesimo secolo, quando la popolazione di Londra, o “Great Wen”, come la chiamava William Cobbett, iniziò a crescere a un ritmo senza precedenti.

Nell’ultimo decennio del 1800 a Londra si contano quattro milioni di abitanti: la richiesta di alloggi economici è elevatissima. In queste aree che assomigliano a inferni a cielo aperto si ammassano migliaia di persone, che vivono nel degrado, nella sporcizia, in condizioni disumane.

Due mondi diversi

La città era divisa in due. Chi viveva nelle zone più signorili spesso ignorava le condizioni impossibili in cui si trovavano i poveri dei bassifondi.

La vita nei bassifondi era sovente una vita di espedienti, pochi spiccioli guadagnati scaricando casse al mercato, vendendo fiammiferi, potevano fare la differenza fra una notte all’addiaccio o in un fatiscente dormitorio, fra pidocchi e lerciume, ma almeno al coperto.

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Intere famiglie, a volte numerose, vivevano in una sola stanza, sopravvivendo con un misero stipendio che copriva a malapena le spese dei pasti.

Bastava un nulla, come una malattia, un incidente, per far perdere il lavoro al capofamiglia e mandare sul lastrico cinque, sei persone, madri con lattanti e nidiate di piccini.

C’erano innumerevoli famiglie in questa situazione: gente onesta e sfortunata, che viveva accanto a  ladruncoli, alcolisti, prostitute… gli slums raccoglievano le storie più diverse che avevano in comune il denominatore della disperazione.

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L’alcolismo era diffuso capillarmente. Mancando regolamentazioni, chiunque poteva distillare senza troppe attenzioni e produrre alcol a basso costo, cattivo, pericoloso. Facile da avere. Un rimedio semplice per dimenticare per un poco l’esistenza senza speranze e senza futuro.

Per chi era fuori da questo inferno non era facile capire che cosa significasse vivere così. Era più semplice pensare che questa folla indistinta di poveri dovesse le proprie sventure solo all’incapacità di vivere una vita migliore.

workhouse in epoca vittoriana

Una delle correnti di pensiero più diffuse, anche grazie all’utilitarismo, era che si rimaneva poveri quando mancavano le doti, il ciraggio e la capacità di migliorare se stessi, che la povertà fosse, in un certo modo, meritata.

La massa di donne cadute, reiette, che vivevano nei bassifondi, era solo un’orda di prostitute, la cui colpa morale era pari al degrado in cui versavano.

Per i ricchi vittoriani, non c’erano sfumature nel giudicare i poveri: erano una piaga sociale, erano da evitare, erano cattive persone che avevano scelto una vita disonesta o che si erano dimostrati immeritevoli di vivere meglio.

workhouse in epoca vittoriana
Workhouse a Kensington

La povertà in Canto di Natale.

Il testo è preso da Liber Liber.
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– In questa gioconda ricorrenza, signor Scrooge – disse quel signore, prendendo una penna, – è più che mai desiderabile il raccogliere qualche tenue soccorso per la povera gente sulla quale ricade tutto il rigore della stagione. Ce n’ha migliaia che mancano dello stretto necessario; centinaia di migliaia cui fa difetto il menomo benessere.
– Non ci sono prigioni? – domandò Scrooge.
– Molte anzi – rispose l’altro posando la penna.
– E gli Ospizi? gli hanno chiusi forse?
– No davvero; così si potesse!
– Sicché il mulino de’ forzati e la legge su’ poveri son sempre in vigore?
– Sempre, ed hanno anche un gran da fare.
– Oh! io avevo temuto alle vostre prime parole, che qualche malanno avesse rovinato coteste utili istituzioni, – disse Scrooge. – Mi fa piacere di sentire il contrario.
– Mossi dal pensiero che esse non procacciano alla moltitudine un qualunque benessere cristiano di anima o di corpo – rispose quel signore – alcuni di noi si danno attorno per raccogliere un tanto da comprare ai poveri un po’ di cibo e un po’ di carbone. Scegliamo quest’epoca, come quella in cui il bisogno è più acuto e l’abbondanza rallegra. Per che somma volete che vi segni?
– Per niente! – rispose Scrooge.
workhouse in epoca vittoriana

Le poor Laws e le workhouse

Le leggi per arginare la povertà in Inghilterra hanno avuto un iter molto lungo: le prime risalgono al medioevo.

La prima forma di Poor Law fu la cosiddetta Ordinanza dei Lavoratori (“Ordinance of Labourers“) e fu promulgata da Edoardo III il 18 giugno del 1349, poi ampliata nel 1350.

La New Poor Law, o Poor Law Amendament Act, quella che interessa i grandi mutamenti di epoca vittoriana, fu approvata dal governo Whig inglese nel 1834.

Con questa legge vennero istituite le famigerate workhouses, case di lavoro nate con l’idea di fornire ai più poveri strutture dove guadagnarsi vitto e alloggio in cambio di ore di lavoro. Chi entrava, in teoria, accettava di restare per un periodo più o meno lungo, per guadagnarsi il pane, trovare un giaciglio, avere modo di ritrovare la propria dignità.

Questa era la teoria, che ben presto però fu sostituita da una pratica molto diversa.

workhouse in epoca vittoriana
St. Peters Hospital

Le Workhouse – che cos’erano

Leggendo Dickens, molti aspetti delle workhouse ci vengono resi noti.

Il primo è che le famiglie entravano, ma venivano separate: uomini da una parte, donne e bambini dall’altra. Anche i bambini, se non erano lattanti, venivano separati dalle madri e indirizzati a istituti diversi, dove lavoravano e dove – sempre in teoria – andavano a scuola. Per tutti, le condizioni di vita erano al limite della sopravvivenza e spesso chi arrivava già malato o denutrito, qui riceveva il colpo di grazia.

Il principio era che la condizione poco agiata delle workhouse serviva per incoraggiare i poveri a lavorare sodo per migliorare la loro condizione sociale, ma allo stesso tempo nessuno veniva ricompensato per un lavoro ben fatto. Questa era una delle grandi contraddizioni con cui i poveri dovevano fare i conti: era come stare sul fondo di un pozzo ed essere rimproverati per il non avere la scala da chi, in superficie, ne aveva a decine.

Per quanto le workhouse fossero sottoposte a consigli parrocchiali e gestite dalle parrocchie, c’era ben poco di caritatevole nel modo di trattare le persone che ci finivano dentro, tanto che per molto quella era davvvero l’ultima soluzione, a cui si preferiva persino l’accattonaggio.

Entro il 1830 la maggior parte delle parrocchie aveva almeno una casa di lavoro, ma molte erano gestite male. Nella sua opera del 1797, The State of the Poor , Sir Frederick Eden , scrisse:

L’officina è un edificio scomodo, con piccole finestre, stanze basse e scale buie. È circondato da un alto muro, che gli conferisce l’aspetto di una prigione, e impedisce la libera circolazione dell’aria. Ci sono 8 o 10 letti in ogni stanza, principalmente di lana, e di conseguenza trattenenti tutti gli odori e perfetti per il proliferare di parassiti. I corridoi hanno una gran mancanza di imbiancatura. Non si tiene conto regolarmente di nascite e morti, ma quando in casa compaiono vaiolo, morbillo o febbri maligne, la mortalità è molto elevata. Su 131 reclusi nella casa, 60 sono bambini.”

Alcune Workouse erano anche affiancate da dormitori, nei quali ci si poteva fermare per periodi più brevi: il letto, però, si “pagava” con una giornata di lavoro, spesso pesante, che costringeva le persone a dormire lì almeno per due notti e impedendo loro di trovarsi un lavoro nel giorno successivo.

Le workhouse erano già esistenti, con utilità e obiettivi diversi, già a partire dal Medioevo, ma dal 1832 in poi assumono l’aspetto e il sistema che diventa noto grazie alle pagine di Dickens. Nascono ispettorati che devono vagliare l’operato dei gestori, ridurre all’osso le spese pubbliche, controllare che i poveri sgobbino abbastanza e non si lascino mantenere dalle brave persone.

In questo periodo le case di lavoro diventano simili a carceri coi lavori forzati: chiunque possa lavorare, è obbligato a farlo, in cambio di miseri pasti e di un letto.

Entrare nelle workhouse

Decidere di entrare in workhouse non era una scelta facile, era come decidere spontaneamente di andare in carcere.

Una commissione valutava se i richiedenti erano idonei oppure se si poteva fare altrimenti: c’era chi riceveva un piccolo sussidio e veniva allontanato.

Chi entrava, doveva rinunciare ai propri abiti, che venivano fumigati per eliminare i parassiti e messi da parte.

uomini e donne, separatamente, venivano portati al bagno a lavarsi: l’acqua putrida era la stessa per molte persone e chi arrivava qui senza parassiti, li prendeva. Se si salvava dai pidocchi e dalle piattole qui, poteva essere certo che dai vestiti da lavoro o dai materassi avrebbe avuto la propria dose.

I letti erano brulicanti di animaletti, che passavano felici da un ospite all’altro: non c’era modo di evitarlo.

slum e povertà nella londra vittoriana
Offrire cibo o soldi ai poveri: non per tutti era un atto caritatevole.

I panni da lavoro erano semplici divise carcerarie, della cui manutenzione si occupavano le donne internate, che si spaccavano le mani a furia di lavanderia e di separare stoppa per i più vari scopi.

Per gli uomini la divisa poteva essere costituita da una camicia di cotone a righe, giacca, pantaloni e un berretto di stoffa, e per le donne un  abito blu a righe bianche indossato sotto un grembiule. Venivano fornite anche scarpe.

Ma poteva anche andare peggio: per i poveri “soccorsi” dalla Bristol Corporation, una delle istituzioni più importanti, a partire dal 1600, avevano anche divise a seconda della condotta morale:  le prostitute dovevano indossare un vestito giallo e le donne single incinte un vestito rosso. Nel 1839 si cominciò a discutere sul fatto che non fosse proprio simpatico stigmatizzare così le donne, e dal 1866 (trent’anni dopo!!!) le divise gialle e rosse furono eliminate.

slum - bassifondi di londra
La famosa immagine degli slum; Ficheiro:London slums Wellcome 1887.

Ora sei qui per imparare un mestiere, annunciò il signore in poltrona.

E domani mattina alle sei comincerai a sfilacciare la stoppa. soggiunse quello dal panciotto blanco.

Per ringraziare del beneficio che gli veniva concesso, Oliver si inchinò in direzione del signor Bumble e venne condotto con gran rapidità in uno stanzone che serviva da dormitorio e sistemato su una cuccetta dura come pietra sulla quale pianse fino a che si addormentò. (Oliver Twist)

L’alimentazione nelle workhouse

Secondo i registri rimasti, l’alimentazione nelle workhouse era molto curata e bilanciata, per rimettere in salute i poveri che avevano sofferto la fame e i malati.

Leggi anche: L’alimentazione vittoriana: i ricchi e i poveri

Ad esempio, una colazione a base di pane e pappa (una crema di cereali) era seguita da un pasto centrale, che poteva consistere in carni cotte, maiale in salamoia o pancetta con verdure, patate, gnocchi di lievito, zuppa e sugna, o budino di riso. La cena era normalmente pane, formaggio e brodo , e talvolta burro o patate.

Secondo altre fonti, come “le cinque donne”, o i romanzi di Dickens, la realtà era diversa: il porridge, o pappa, era una brodaglia sempre più diluita, nella quale galleggiava talvolta qualche patata o pezzetto di carne e costituiva l’alimento centrale dei pasti. La carne era rara, non certo parte dell’alimentazione quotidiana, e usata come “premio”. Pane e formaggio venivano serviti una volta al giorno. Molti nelle workhouse peggioravano lo stato di denutrizione, i più deboli morivano.

La qualità degli alimenti che entrava era proporzionale all’onestà dei gestori, che potevano guadagnare da qualche taglio ai prodotti più costosi: comunque, mangiare troppo bene non era previsto, perché si temeva sempre che i poveri scambiassero queste case per alberghi (!).

I saggi membri del comitato avevano fatto una scoperta che non sarebbe stata certo alla portata di menti comuni: stare all’ospizio non dispiaceva ai derelitti che l’abitavano.

Era un luogo di pubblico divertimento, un albergo dove non si pagavano conti, con la sicurezza di avere i pasti per tutto l’anno.

Era un paradiso di calce e mattoni dove lavoro e fatica erano del tutto sconosciuti.

Bisognava quindi sistemare le cose, bisognava che i poveri scegliessero, senza essere forti,

naturalmente, fra il morire lentamente di fame all’ospizio o rapidamente per mano dei duri.

Avevano quindi richiesto alla direzione dell’acquedotto una fornitura limitata di questo liquido elemento e con un grossista di farine e di sementi modeste e periodiche forniture di farina di avena; avevano quindi ordinato che si servissero, tre volte al giorno, pappe non molto solide, cipolle fritte due volte alla settimana e il pane la domenica. (Oliver Twist)

I bambini nelle workhouse

I bambini venivano generalmente separati e mandati in strutture apposite, dove imparavano qualcosa e soprattutto un mestiere.

i più grandi, dai quattordici anni in su, erano abilitati al lavoro. I più piccoli venivano messi a studiare in modo così piacevole che tentavano in ogni modo di fuggire: nel tentativo di costringere le case di lavoro a offrire almeno un livello di istruzione di base, nel 1845 fu approvata una legislazione che richiedeva che tutti gli apprendisti poveri fossero in grado di leggere e firmare i propri documenti di contratto. Spesso l’istruzione si limitava a lavoro e punizioni.

Così, con il pretesto che era un poco macilento, fu richiesto l’intervento del comitato parrocchiale, il quale risolse di mandarlo in campagna, in una sorta di succursale dell’istituto a circa tre miglia di distanza.

Là, insieme con altri venti o trenta bambini non certo oppressi da una alimentazione eccessiva e da indumenti troppo caldi, fu affidato alla materna sorveglianza della signora Mann, una donna anziana che accoglieva i piccoli pensionanti alla tariffa di sette pences la settimana ognuno, somma sufficiente a far sì che un bimbo viva, naturalmente senza pericolo di crepare d’indigestione, e che venga su non troppo viziato.

La signora Mann era un’educatrice abile ed esperta: sapeva quel che serve ai bambini per star bene e ancor meglio sapeva quel che serviva a lei stessa. (Oliver Twist)

La vera beneficenza

Oltre a questi orrori, esistevano veri benefattori e istituzioni che cercavano seriamente di aiutare i poveri. L’esercito della salvezza guidato da William Booth, per esempio, o la Children’s Society, che hanno iniziato il loro lavoro per combattere la povertà nell’era vittoriana e continuano ad affrontare le preoccupazioni più moderne della povertà anche nel 21 ° secolo.

(…continua)

 

http://www.victorianweb.org/history/slums.html#:~:text=London%20slums%20arose%20initially%20as,unsanitary%20and%20squalid%20living%20conditions.

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