Il tè del venerdì con Nel tunnel di Sarajevo, di Giano Sirov

Il tè del venerdì con “Nel tunnel di Sarajevo” di Giano Sirov

Nel tunnel di Sarajevo

Oggi per il tè del venerdì l’ospite mi mette un po’ in difficoltà. Giano Sirov, infatti, come vuole la tradizione, ha due teste, entrambe pensanti e pronte a rispondere alle nostre domande.

Ma ahimé, sul personale non può e non vuole andare, perché…

Ciao Giano e benvenuto al tè del venerdì.

Miss Darcy, è un piacere.

Dicci un po’, perché non ami parlare di te? Soprattutto, puoi spiegare ai lettori perché hai scelto questo nome, e perché due teste?

(Vi assicuro, queste sono le domande più strane che abbia mai posto!!!)

Non è vero che non amo parlare di me. È che si pone  il problema di quale me: la testa glabra o quella irsuta? La testa teutonica o quella barocca?…

Diciamo che le teste si sono date un nome bifronte appena riconosciuta la presenza di una coscienza collettiva. Il cognome Sirov è invece un aggettivo croato che significa “crudo”, in quasi tutte le accezioni che il vocabolo offre anche in italiano: a partire dall’origine dell’etimo cruor  (sanguinoso, sanguinolento) fino al senso lato del realismo brutale, della consapevole mancanza di abbellimenti o ipocrisie. Crudo come la verità che Giano ha l’ambizione di raccontare, e talvolta come i toni che usa.

Parliamo del libro “Nel Tunnel di Sarajevo”, che oggi presentiamo in questo salottino. Com’è nata l’idea di questo libro? Come hai costruito la storia, utilizzando in contemporanea entrambe le teste oppure lasciando a ciascuna uno spazio definito?

L’idea di questo libro, l’idea primigenia, era da tempo in forma embrionale in una delle teste, col proposito di una narrazione divulgativa e al contempo emotiva, privata, della guerra dei Balcani. La primissima, breve versione dell’intreccio sarajevese è nata letteralmente per gioco, su una piattaforma di scrittura creativa. Quasi nello stesso momento, per uno di quei casi fortuiti che la natura ammette con un certo grado di improbabilità, in una sorta di balzo evolutivo, è nato Giano.  A quel punto, col beneficio di due teste, due visioni, un fitto contraddittorio e quattro mani, sono fiorite, per successive stratificazioni, entrambe le trame, e tutte le interconnessioni fra esse.

Curiosa di sapere come funziona un Giano bifronte? In realtà non esistono veri confini fra le coscienze narrative e sicuramente non ci sono spazi definiti, assegnati e riconoscibili.  Le due teste sono sempre state abbastanza concordi sia nel definire i contenuti generali che nell’approvare il lavoro finito. In mezzo c’è un maelstrom di rimaneggiamenti, discussioni, proposte, argomentazioni, sovrapposizioni, compromessi, limature.

Perché la scelta di questa duplice ambientazione? Che cosa ti-vi ha colpit* in particolare della guerra civile Jugoslava?

L’ambientazione del romanzo è duplice come lo sono le teste di Giano, ossia lo è, ma allo stesso tempo non lo è veramente. La reale dimensione del romanzo, la vera linea narrativa, che è unica,  è quella interiore del protagonista, che subisce sì un cambiamento profondo e radicale, ma non nei vent’anni  intercorsi tra l’assedio di Sarajevo e lo svolgimento della trama gialla, bensì durante la guerra, quando, improvvisamente, un conflitto surreale diventa realtà quotidiana e va a minare alle fondamenta  il microcosmo privato.

La guerra dei balcani merita di essere conosciuta per diversi motivi. Il più banale, mai troppo sottolineato, è che avveniva giusto oltremare, a una manciata di chilometri da casa, letteralmente un tiro di schioppo. Eppure ne vedevamo solo pochi selezionati frammenti televisivi, corredati da commenti superficiali, senza critica, senza domande, senza vere intenzioni di comprendere il fenomeno o neppure di documentarlo.

L’altro fattore d’interesse è la modalità di svolgimento dell’azione bellica, dell’episodio sarajevese in particolare. Un assedio omerico sotto le mura di una moderna Troia. Con l’ONU e la vicina Europa a fare da spettatori quasi del tutto passivi, come divinità annoiate di qualche remoto pantheon. L’omissione, l’avallo silenzioso del disinteresse, così come la perdita della memoria storica (di un evento così vicino), non sono senza colpa.

Anche il protagonista di “Nel Tunnel di Sarajevo” in un certo senso ha due teste, una forte dicotomia fra passato e presente. Ci racconti/ate qualcosa?

Di quel simpaticone di Boksic? Beh, lui non ne sarebbe per niente contento. Ci ha tenuto così tanto a raccontarsi da solo, che se ha omesso qualcosa, deve essere stato di proposito. Ma nell’ansia di apparire cinico e distaccato, ha svelato molto della persona che era prima. Prima della guerra, prima della perdita del proprio centro, prima di entrare nel tunnel e non uscirne.

Se è vero che il successo biologico della razza umana è dovuto a una straordinaria capacità di adattamento, è altrettanto vero che sopravvivere ad avversità estreme – tragedie al contempo private e collettive – ha un prezzo talmente alto che si rischia di passare la vita intera a pagarlo. La resilienza è una terapia aggressiva: non è mai indolore e lascia cicatrici indelebili e spesso sfiguranti.

“Nel Tunnel di Sarajevo” è un giallo, ma… come si colloca nella tua/vostra vita letteraria? È un genere già collaudato? Una sperimentazione? Sarà seguito da altre opere?

Il giallo è il volto più esplicito del romanzo, il genere più facile a cui attribuirlo. Ma c’è anche un’anima rievocativa e diaristica, un vero e proprio romanzo storico, che è probabilmente il suo vero corpo.

Insomma, tutto quello che è semplice, onesto, chiaro e univoco, Giano lo evita accuratamente. Per la sua stessa natura, sperimenta molto e collauda poco. Ergo, questo romanzo è un’opera prima in tutti i sensi. Sarà seguito con tutta probabilità da qualcosa d’altro, anche se la pigrizia di una testa e la dispersività dell’altra producono un ritmo lavorativo alquanto ondivago .

E per il futuro, sentiamo un po’ cosa preferirebbe Miss Darcy: un giallo “classico” (con tanto di ispettore della sezione omicidi) in ambientazione balcanica, ossia un vero e proprio spin-off del Tunnel; oppure uno storico basato su una storia vera in stile molto composito?

E ora Miss Darcy timidamente vorrebbe sapere che tè preferite. Ha preparato due tazze.

Ovviamente ogni testa ha i suoi gusti, quindi, apprezziamo molto la doppia tazza.

In una, banale tè al bergamotto (scelta plebea), appena zuccherato senza latte né limone e nell’altra, che verrà ingollata non senza una lieve alzata di sopracciglia per la barbara contaminazione del tè con la polvere di marmo,sarebbe molto gradita un’infusione di Yunnan Silver Bud Ya Bao, un delizioso tè bianco cinese, le cui preziose gemme color oro bianco vengono raccolte alla fine dell’inverno sugli altopiani dello Yunnan, una provincia cinese al confine con il Tibet. (In effetti una delle teste del Giano – quella barbuta, per la precisione – forse non ama parlare di sé, ma certo adora parlare del tè…)

 

Grazie per averci fatto compagnia!

Grazie a Miss Darcy, da entrambe le teste,  per la squisita ospitalità!

 

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SINOSSI:

5 aprile 1992 – Fabio Boksic, ventenne figlio di un croato-bosniaco e di un’italiana, rievoca in prima persona l’inizio dell’assedio di Sarajevo, la città eclettica e cosmopolita nella quale è cresciuto: chiama in causa il lettore, gli si rivolge direttamente, lo porta con sé fin dentro la città assediata in un metaromanzo dai toni ruvidi che sembra – e di fatto si rivelerà – un’apostrofe rivolta ad uno specifico interlocutore.
10 dicembre 2012 – Lo stesso Fabio Boksic, quarantenne, divenuto un noto avvocato divorzista a Milano, rinviene il cadavere di una sua affascinante e danarosa cliente.

La narrazione procede attraverso un’alternanza delle due linee temporali, che si riflettono in un gioco di specchi, definendo il personaggio adulto nel vissuto bellico del giovane.

La prima, principale, è incentrata sull’assedio di Sarajevo e sulla famiglia Boksic,
seguendo idealmente, con il flusso delle emozioni, i movimenti musicali di un concerto. La seconda linea temporale, breve e sincopata, esiste solo come contrappunto all’altra e si snoda lungo un’immaginaria partita a scacchi a tinte gialle.
Da una parte i “movimenti” di una drammatica sinfonia bellica, dall’altra le “mosse” scacchistiche, indicati nel sottotitolo, dettano i tempi di un duplice assedio – alla città e all’uomo – suggerendo la dualità della tragedia collettiva e del dramma individuale.

A Sarajevo, privazioni, violenza urbana, isolamento, eventi storici più e meno noti –
incendio della Biblioteca, scavi del tunnel, strage di Markale, suicidio della figlia di
Mladic – si intrecciano alle vicende private della famiglia Boksic e dei personaggi che ruotano intorno ad essa.
Nel frattempo, a Milano, un Fabio adulto, cinico e disilluso, che dal tunnel di Sarajevo non è mai uscito, si trova coinvolto nell’omicidio di una sua cliente nonché disinibita scambista.
La detenzione cui sarà sottoposto in seguito al fermo, poi non convalidato, costituirà per Boksic un’inedita occasione di riflessione e darà l’abbrivio alla riscoperta del suo stesso passato bellico e delle vicende familiari che vi si sono snodate.

NOTA BIOGRAFICA:

Giano Sirov, in quanto a dati anagrafici… non esiste affatto!
Tuttavia non è corretto negarne integralmente la sostanza, poiché – a differenza di un buon numero di umani che possono vantare veri dati anagrafici – si pone domande (impertinenti), coltiva idee (bizzarre) e brandisce opinioni (impopolari).

Avendo ben due teste, vanta ascendenze assai composite: militaresca linearità teutonica mischiata a barocca ridondanza partenopea, severità elvetica, eloquenza pugliese e mutria ligure.

Ha un rispettabilissimo domicilio nomade, che vaga tra il giansenismo di Milano, l’Emilia dei sensi e la Sardegna dei colori primari.

Infine, ha un curriculum piuttosto eclettico che passa per aule di tribunale, laboratori di fisica, sordide alcove aziendali e studi per l’esercizio di professioni che di libero hanno solo il nome.
Giano, soprattutto, legge con voracità. Qualche volta – questa volta – scrive.

CITAZIONI:

“Stavolta, che ti piaccia o no –- che tu lo voglia o meno, lettore –- verrai
con me a fare un giro di giostra nella Sarajevo assediata. Vedi di non costringermi a tirarti per la manica come un marmocchio riottoso: i cecchini potrebbero notare i nostri armeggi e fare fuoco su di noi. Proprio come in quegli sparatutto con cui forse ti sollazzavi nell’adolescenza.

Occhio, però, che qui la scritta “game over” ha il sapore metallico del sangue.

Il tuo.”

 

“Poi si alzò il vento. Un vento leggero e crudele che, sulla città riarsa dal sole impietoso, fece piovere mestamente, misere vestigia della catastrofe, brandelli di pagine, mozziconi di storie, formule matematiche, trattati, mappe, poesie.
Parole secolari, millenarie, come foglie impazzite vorticavano nell’aria e si posavano
mute ai nostri piedi. Fragili come farfalle morte, potevi afferrarle e leggerle un’ultima volta, in fretta, prima che divenissero cenere, sgretolandosi sotto i tuoi occhi.”

 

“Tacquero entrambi. L’uomo si soffiò il naso in un largo fazzoletto bianco di stoffa e poi, prima di parlare, lo ripiegò con estrema cura: «Cerchi un complice o un confessore?».
«Un maestro di scacchi.».
«Quindi l’hai fatta grossa» osservò con una specie di risatina che terminò in un colpo di tosse «Sentiamo quanto grossa».”

 

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