Matilde Cuore di Lupo: parole d’autore

Matilde Cuore di Lupo: parole d’autore

Matilde Cuore di Lupo di Serena Vis

parole d'autore

Matilde Cuore di Lupo è, come ci spiega la sua autrice Serena Vis nella presentazione del romanzo, sia un romanzo storico incentrato sulla figura di Matilde di Canossa che un romanzo di formazione: la trama segue la protagonista dalla prima infanzia al suo grande trionfo sull’Imperatore Enrico IV quando, dieci anni dopo l’umiliazione di Canossa lo scaccerà definitivamente dalle sue terre.

Ma Matilde Cuore di Lupo è anche un romanzo fantastico, grazie ad alcuni elementi tipici della narrativa di genere.

Un connubio affascinante, che oggi avremo modo di conoscere attraverso alcune pagine scelte per noi da Serena, per portarci con sé nel passato, a conoscere Matilde.

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Matilde Cuore di Lupo – Estratti:

(Incipit) “Odore di terra e di umidità, di foglie morte, di fumo e di sangue. Correre, correre, correre, dovevo correre più in fretta se volevo salvarmi la vita.

Ero in vantaggio: conoscevo ogni palmo di quel terreno, ogni pietra, albero e radice. Avevo giocato in quei boschi fin da piccolissima, con i figli degli stallieri e dei legnaioli. Ma questa volta non era un gioco. Questa volta correvo per salvarmi la vita e a inseguirmi non c’erano dei ragazzini ma degli uomini a cavallo, robusti guerrieri armati di spade e balestre.

Avrei dovuto nascondermi. Nascondermi e aspettare che passassero oltre.

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C’era un passaggio sotto il castello, portava nella cripta dove erano sepolti i miei piccoli fratelli e sorelle e poi fuori, nella foresta. Me l’aveva fatto vedere mia madre: nel caso improbabile che il castello venisse preso avremmo potuto rifugiarci nei boschi e poi più lontano, nelle abbazie, nei conventi. La nostra gente ci avrebbe nascosti, la nostra gente ci amava.

I mantovani invece no. I mantovani non ci amavano e non gli era bastato eliminare mio padre: c’eravamo ancora mio fratello, mia sorella, io e nostra madre, il viso inciso di rughe di preoccupazione.

Eravamo scappati da Mantova subito dopo il funerale, ma non era bastato. Da un convento all’altro, protetti dai nostri armati più fedeli con l’unico scopo di raggiungere il nostro castello. Il nostro castello sicuro: il Castello del Diavolo, così lo chiama la gente di qua, perché il Diavolo, soggiogato dal mio bisnonno, l’ha costruito per lui in una sola notte di tempesta. Ed è imprendibile il nostro castello.

Avrei dovuto essere al sicuro lì dentro invece che fuori ad arrancare nel fango. Avrei dovuto restare lì, paziente, a studiare, tessere, filare e pregare. Avrei dovuto.

Invece ero uscita. La pessima idea di una passeggiata a cavallo. Un castello può sembrare uno spazio molto ristretto durante i lunghi mesi invernali ed era il secondo anno che trascorrevamo rinchiusi lì dentro, in attesa che passasse la tempesta.

E la tempesta sembrava passata. Sembrava. Ci eravamo sbagliati, oh quanto!

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E adesso, presto forse, avrei scoperto quanto ci eravamo sbagliati. Sentivo l’ansimare dei cani e dei cavalli a poche decine di passi da me, le urla barbare dei soldati. Parlavano un dialetto che non conoscevo e ne fui riconoscente: sapere che cosa avevano in mente per me mi avrebbe tolto il coraggio e non era questo il momento di avere paura. E poi noi non abbiamo paura. Nostro padre lo ripeteva sempre, lo diceva a tutti noi ma io avevo sempre l’impressione che stesse parlando a me e a me soltanto, come se io e lui fossimo uguali, condottieri vittoriosi.

Non mi sentivo molto vittoriosa ora, né molto coraggiosa.

Continuavo ad arrancare nel fango sperando che non sentissero i miei respiri, sperando di riuscire a trovare un posto, un qualche posto in cui nascondermi.

Non ce l’avrei fatta ad arrivare al castello, lo sapevo.

Non correndo a piedi, non senza uscire allo scoperto. E non potevo permettermi di condurli al passaggio, ora me ne rendevo conto, che poteva essere l’unica via di salvezza per la mia famiglia in caso di emergenza. Emergenza che poteva essere molto vicina.

Cercai di pensare con lucidità. Dovevo condurli fuori strada e nascondermi, se ci riuscivo, ma dove? Dove, per l’amor di Dio?!… E io non riuscivo quasi più a correre. I muscoli delle mie gambe erano intorpiditi e il cuore e i polmoni parevano sul punto di scoppiare.

Un dolore acuto mi trafiggeva il fianco. Presto sarei crollata. Li sentivo ridere dietro di me. Ridevano e schiamazzavano come se dare la caccia a una bambina fosse soltanto un grato divertimento.

Sorprendente se si pensa che la mia vita valeva parecchie monete d’oro che riuscissero a divertirsi così tanto, ma forse pensavano di avermi già presa. In effetti mancava un soffio.

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Inciampai. Non era la prima volta.

Il terreno era sconnesso di sassi, radici e lunghi filamenti di erbe secche che si tendevano come dita a catturare le caviglie di chi camminava. Secondo alcuni erano le dita delle colline che cercavano di catturare dei compagni per il loro sonno. Fole per i bambini. Eppure ora sarei andata a far loro compagnia e sarei entrata in un lungo sonno anch’io: non riuscivo a rialzarmi.

Le gambe non mi reggevano. Nemmeno le braccia. Caddi a faccia in giù nel fango e nelle foglie rosse, il respiro mozzo, aspettando di sentire le zampe dei cavalli che mi investivano. Erano sempre più vicine… I miei capelli, i miei capelli rossi, erano una bandiera intorno a me.

Sentivo ancora distintamente il clop clop dei cavalli, la mia fronte poggiava su qualcosa di appuntito, ma non osavo alzare la testa. Forse stavo svenendo. Forse stavo morendo di paura. O ero svenuta e quando mi fossi svegliata avrei scoperto che erano lì, sopra di me.

Meglio non aprire gli occhi. Meglio tenerli ben chiusi, strizzati. Forse sarebbe sparito tutto e mi sarei svegliata nel mio letto.”

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(1)

“Corri Matilde, corri! Il mio corpo palpitava nella corsa, il mio cuore batteva all’impazzata per il terrore e l’eccitazione, le mie narici si dilatavano al vento cercando di cogliere gli odori che mi avrebbero guidata verso la fuga o verso la vittoria. Odore di terra, di foglie marce e legno bruciato, d’acqua e di metallo. Corri Matilde, corri! Con le spine acuminate che penetrano nelle zampe e le rocce taglienti, corri nella bruma del tramonto e nell’oscurità della notte quando il nemico dorme, impreparato.

Odore di sangue fresco che macchia la terra, sangue del nemico e dell’amico, il mio stesso sangue in grandi macchie rosse. Un sapore metallico si spande acre in bocca.

Corri Matilde, corri! Corri nella luce dell’alba che alza sulle colline, ancora pallida, sopraffatta dalla stanchezza spingendo il corpo al suo limite, quando tutto è un dolore. Corri Matilde, devi correre! È l’unica speranza questa fuga, questo inseguimento, sempre più su, sempre più addentro alla foresta, dove il terreno è malsicuro, dove le foglie cadendo stagione dopo stagione nascondono le buche profonde formando un alto strato dove l’uomo non pone i suoi piedi malsicuri ma solo la volpe e la lepre passano rapidi e leggeri come un soffio di vento e dove la luce non penetra nel fitto fogliame e nell’intrico di rami, dove l’autunno oscuro ha sapore di morte.

Gli antichi sapevano che preda e cacciatore devono confondersi, che non si può dare vittoria senza offerta. Qui, con la faccia sferzata dal vento tagliente io offrivo me stessa e la mia vita intera, per la mia gente: offerta di caccia, offerta di battaglia. Prendimi Signore, se vuoi, ma salvali! Fammi vincere e dammi ancora un po’ di tempo, ancora un po’ … l’inverno sta arrivando e lì fermerà.

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E troveremo qualcosa, qualcos’altro, per fermarli.

Io non mi arrendo, finché avrò vita non mi arrenderò. Fino all’ultimo respiro, fino a che avrò la forza di sostenermi combatterò, anche da sola se serve: non abbandonerò la mia gente alla violenza e al saccheggio, non abbandonerò il mondo ai capricci dell’Imperatore, né Gregorio, povero vecchio, alla sua vendetta. No: io combatterò. Anche se tutto crolla, anche se sono sola. Non ho paura. Venga avanti Enrico: non indietreggerei neppure se avesse gli occhi di brace come un demone, vedo gli abissi della sua doppiezza e non lo temo.

Ho conosciuto il lutto, il dolore, la fuga e la solitudine, ho conosciuto il sacrificio silenzioso, l’amarezza e la distruzione dei sogni della giovinezza. Ho fatto il mio dovere: sempre.

Ho cercato di fare della mia vita un esempio di rettitudine. Perciò non indietreggerò: mancherei a me stessa e che ci rimane se veniamo a mancare a noi stessi? Ma tu dammi la forza Signore degli eserciti e delle battaglie, sconfiggi i miei nemici! Sono una piccola donna ma se tu, solo tu, non mi abbandonerai, questa piccola donna sconfiggerà questi grandi uomini tronfi. Resta con me Signore, dammi la forza!

Mentre i miei pensieri e le mie parole si disperdevano nel vento come foglie secche non sapevo più se stavo pregando il Dio che mi hanno insegnato ad adorare da bambina o quello dei miei padri e non sapevo nemmeno se facesse qualche differenza al di là questo povero mondo così pieno di sottigliezze nelle quali ci si perde. Nel luogo in cui lo spazio ed il tempo non contano più nulla forse contano di più i sentimenti che avevo scagliato con forza nel cielo che le parole con cui li avevo espressi. O almeno questa era la speranza del mio cuore.”

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Matilde Cuore di Lupo – Sinossi

Matilde Cuore di Lupo è la storia di una regina, di una guerriera, di una donna che ha saputo tener testa a Papi, Imperatori e guidare eserciti ma è anche una storia di fate, incantesimi e rapimenti. Prima della Regina Vittoria, prima di Elisabetta I, Matilde di Canossa ha scelto di vivere la sua vita liberamente, di governare senza l’aiuto o il sostegno di un uomo, di guidare un esercito. Di essere se stessa. Muovendosi liberamente tra fantasy e storia l’autrice descrive la vita di una donna eccezionale e libera, di un’epoca selvaggia, di grandi uomini divisi tra aspirazioni celesti e brame terrene.

matilde cuore di lupoMatilde Cuore di Lupo è, a un tempo, romanzo storico incentrato sulla figura di Matilde di Canossa e romanzo di formazione: la segue dalla prima infanzia al suo grande trionfo sull’Imperatore Enrico IV quando, dieci anni dopo l’umiliazione di Canossa lo scaccerà definitivamente dalle sue terre.

Nel testo sono presenti anche elementi fantastici: Matilde viveva in un mondo che conservava ancora una forte impronta fantastica, demoni, fate, spiriti, camminavano ancora sulla superficie del mondo e nell’immaginazione degli uomini. Il popolo di Matilde si era cristianizzato da poco più di cent’anni, lo spazio di tre generazioni, e si era quindi accostato solo in tempi recenti alla cultura greco romana; insieme alle nuove credenze però soprattutto negli strati più bassi della popolazione e tra le donne, due categorie maggiormente legate alla tradizione orale del sapere, continuavano a vivere storie, leggende, idee pagane e magiche che sarebbero più tardi confluite nel grande patrimonio del romanzo cortese e della fiaba europea. Non è quindi un azzardo pensare che abbiano popolato anche i sogni e le visioni di Matilde.

Dal punto di vista storico la vicenda si attiene strettamente agli eventi della vita di Matilde nei luoghi e negli anni nei quali, secondo i suoi biografi, si sono effettivamente svolti: dall’infanzia a Mantova, all’esilio in Germania, alla giovinezza a Canossa, al matrimonio in Lorena, fino al ritorno in  Italia ho seguito Matilde nei numerosi viaggi e nelle vicissitudini politiche storicamente accertate ma poiché non si conservata alcuna testimonianza intima dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti, in essi come nei dialoghi e nelle lettere, ho dato libero corso alla mia immaginazione dando un’interpretazione della donna Matilde radicalmente diversa da quella tradizionale ed incentrata invece sulla sua solitudine, prima umana e poi anche politica, e sulla sua rivendicazione di essere soltanto se stessa, di agire solo secondo il proprio giudizio, la propria coscienza.

È giusto dire che anche Matilde guerriera è frutto della mia interpretazione personale o, se vogliamo, immaginazione: Bonizone, suo contemporaneo e primo biografo, specifica che pur conducendo le truppe in battaglia Matilde non si sporcò mai personalmente le mani di sangue. È credibile? Di certo è funzionale alla Matilde che Bonizone costruisce nella sua narrazione ma non era funzionale alla mia perciò ho cambiato questo particolare.

Matilde è unicum nella storia del Medioevo: nessuna delle grandi regine della sua epoca e persino delle successive, le sta alla pari per indipendenza. Bisogna arrivare ad Elisabetta I d’Inghilterra, quasi 500 anni dopo la sua vita, per trovare una figura altrettanto vitale, altrettanto consapevole del proprio valore e incurante del giudizio altrui, altrettanto decisa a regnare da sola.

Matilde, a differenza di Elisabetta, si sposò non una ma ben due volte, nessuno dei suoi consorti tuttavia regnò accanto a lei: il primo fu ripudiato e abbandonato ed il secondo, mero strumento politico, allontanato dalle sue terre ancor prima che fosse trascorso un anno. Matilde fu molte cose: Capitano della Chiesa, consigliera di tre Papi, mediatrice del grande compromesso di Canossa (che resse meno di un anno), condottiera di eserciti, governante attenta al benessere del suo popolo, giudice spietato, … per la sua originalità già durante la sua vita le narrazioni su di lei si moltiplicarono.

Fu Bonizone il primo a fare di lei un’eroina della Chiesa, interpretazione che venne poi ripresa dalla Controriforma che, a corto di esempi adatti ai tempi nuovi, la riesumò e ne traslò la salma in S.Pietro dove riposa ancora oggi. Tradizione perpetuata dai libri scolastici che ancora oggi la dipingono come una “quasi santa” e della sua vita menzionano solo la Grande Umiliazione dell’Imperatore a Canossa ignorando completamente la quasi totalità degli avvenimenti che la composero, ricchissima di eventi, e il giudizio dei contemporanei spesso tutt’altro che tenero quando non addirittura calunnioso: Matilde donnaccia, Matilde assassina, Matilde donna demoniaca,…

Ho voluto riportare Matilde ad una dimensione umana, leggendo la sua biografia vi ho scorto un percorso di scoperta di sé e di autoaffermazione che culmina nella firma che userà dal momento in cui l’Imperatore la priverà di tutti i suoi titoli: “Matilde per grazia di Dio, se è qualche cosa”. Una rivendicazione del sé senza pari: Matilde, senza altra “giustificazione” che essere se stessa e agire secondo la propria coscienza avrebbe negli anni successivi trascinato l’Imperatore ad una guerra per lui rovinosa e lo avrebbe sconfitto. Definitivamente.

Il libro si chiude su questo evento anche se Matilde visse altri trent’anni altrettanto interessanti durante i quali cambiò per sempre il volto dei suoi possedimenti cominciando la trasformazione che avrebbe portato alla fertile pianura e al territorio a vocazione fortemente agricola e commerciale che li caratterizza oggi.

Ho cercato di descrivere i luoghi e gli ambienti (oggi irriconoscibili e profondamente mutati) ed il contesto storico in maniera chiara anche al lettore non appassionato di storia medievale pur senza verbose descrizioni; tanto nei dialoghi quanto nei pensieri espressi dai personaggi ho cercato di rispettare la loro “medioevalità” e ho cercato di evitare di mettergli in testa pensieri storicamente improbabili perché basati su ragionamenti e idee date per acquisite a noi contemporanei ma ancora di là da venire per loro. Qua e là ho inserito delle note chiarificatrici.

Infine: perché Matilde Cuore di Lupo?

I lupi erano animali ben noti agli uomini medievali: gran parte di quelli che oggi sono campi coltivati erano allora una vasta foresta fittamente abitata e percorsa nella quale i lupi e gli altri animali convivevano con i pastori, i porcari, i raccoglitori di legna, i banditi, i mendicanti, i pellegrini, i viaggiatori, i cacciatori, i soldati, …. Di tutti gli animali il lupo era certamente il Principe: il più forte, più temuto e temibile. Ma quegli uomini per i quali la caccia era una risorsa primaria conoscevano bene anche le caratteristiche più positive del lupo: la sua fedeltà al branco, la cura verso i suoi membri, il coraggio, le stesse caratteristiche resero grande Matilde.

Biografia:

Nata a Milano ma trasferitasi sulle rive del Po all’età di cinque anni, Serena Vis è da sempre innamorata delle terre basse fra il Grande Fiume e le colline, delle quali è originaria la sua famiglia. Tra i suoi primi amori si annoverano la storia, l’arte e la letteratura, passioni che le mantengono accesa la vita. Trascorre gran parte delle ore di veglia leggendo e il tempo che rimane è dedicato, non equamente, alle attività necessarie a vivere, al compagno, alla famiglia e agli amici. Sogna di trasferirsi in collina e intanto scrive.

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