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Oggi fantasy con Michela Rivetti e con l’inedito connubio fra fantastico e mitologia induista, per il suo romanzo “La chiamata di Visnu”. Scopriamo insieme il suo mondo…
Ciao Michela e benvenuta al tè del venerdì.
Salve Miss Darcy e grazie dell’ospitalità.
Mi chiamo Michela, ho 26 anni e fin da piccola le mie più grandi passioni sono state il teatro, la scrittura, la storia e la mitologia. Le ho coltivate tutte quante e attualmente sono un’attrice-scrittrice che deve finire l’ultimo anno di archeologia all’università di Bologna.
I miei studi sono concentrati soprattutto sull’India e la Persia antiche. Questa scelta è legata proprio al libro che ha catturato il mio cuore, ossia il “Mahabharata” un poema epico induista, di cui lessi una versione per bambini quando avevo circa 8 anni e che da allora è divenuto il mio testo preferito. Ne ho sempre cercate tutte le edizioni disponibili e sono stata felicissima quando ne ho trovata una in sette volumi.
Per quanto riguarda il mio avvicinarmi alla scrittura, credo che il merito vada a mio nonno e a una mia prozia. Mio nonno, infatti, non mi raccontava mai le fiabe tradizionali, bensì si inventava le avventure di un cavaliere e questo deve avermi stimolata nel creare storie. La mia prozia, invece, professoressa di lettere, fin dalle scuole elementari mi incoraggiava a mettere per iscritto le storie che inventavo.
Tutto ebbe inizio nel lontano 2010, quando i miei genitori mi regalarono l’edizione in sette volumi del Mahabharata come regalo per il diploma di maturità.
Arrivata verso alla fine, scoprii un dettaglio che non era riferito nelle altre edizioni, ossia che Ashwatthaman (un personaggio secondario ma molto importante) subì una maledizione: avrebbe vissuto fino alla fine dei tempi, vecchio, malato, povero e senza che mai nessuno fosse gentile con lui.
Provai una gran pena peer questo personaggio e quindi decisi che avrei dovuto dargli una via di salvezza, un modo per espiare le sue colpe. Questo è stato l’obbiettivo che mi ha convinta a scrivere “La chiamata di Visnu”
Nella mia mente, però, non riuscivo a trovare una trama e un’ambientazione che mi soddisfacessero.
Nel 2012 compii il mio primo viaggio in Tamil Nadu, ebbi molti stimoli e ispirazioni e iniziarono a delinearsi alcune idee. L’anno dopo viaggiai ancora nel sud dell’India e al mio ritorno iniziai a la prima stesura. Ho lavorato al testo fino all’autunno del 2015, poi ho cercato un editore.
L’induismo è una religione/filosofia che mi ha sempre affascinata, molto più del buddismo. Il Mahabharata contiene molte digressioni filosofiche e introspettive (aspetto che ho ricreato anche all’interno del mio romanzo) che mi hanno sempre aiutata parecchio nei momenti di confusione e incertezza.
La lotta fra il Bene e il Male in questo caso è vissuta più che altro come contrapposizione tra Fede e ateismo, anche se il vero “male” è individuato più che altro nel fanatismo da ambo le parti.
Mi piace la definizione di fanatismo che lo indica come l’anteporre la forma alla sostanza e credo che questo sia un errore che può essere applicato a tutti i campi e non alla sola religione.
Hiranyakshva, l’Asura (demone) antagonista del romanzo, è un vero e proprio fanatico della scienza, fino al punto che per lui il negare l’esistenza di un Dio è più importante delle mille possibilità che la scienza offre, lui vuole imporre il proprio pensiero violentemente, credendosi un liberatore. Arriva al punto di dire che etica e morale non esistono in quanto non vi è una formula matematica che le possa definire.
Il Bene e il Male in questo romanzo, si rivelano essere in realtà Conoscenza e Ignoranza di Dio.
Inoltre, nello schema dei personaggi c’è un velato rimando alla figura dello Yin-Yang, in quanto tra i “cattivi” c’è anche chi è credente e tra i “buoni” c’è anche chi non ha fede.
C’è un aspetto romantico in “La chiamata di Visnu” benché si tratti di amore platonico. Irma, la protagonista, si ritrova ad avere a che fare soprattutto con frati, per uno dei quali aveva provato sentimenti amorosi in passato e ora sono resi più forti dai ricordi di una vita precedente. Uno dei turbamenti che si porta dietro per tutte le pagine del romanzo è come debba comportarsi, se sia meglio trattenere i sentimenti o lasciarli fluire.
Irma è un’archeologa appena laureata che ha vinto un bando per partecipare ad uno scavo con due dei suoi professori, in Tamil, dove lei ha molti amici frati. È in una fase di passaggio tra l’età in cui si è studenti e quella in cui si diventa del tutto indipendenti, quindi uno dei tre aggettivi è INSICURA.
Allo stesso tempo, però è DETERMINATA: anche se non crede nelle proprie forze e si sente impreparata, lei non si dà per vinta e va avanti. L’ultimo aggettivo? …mah! Difficile sceglierne solo uno, forse opterei per PROFONDA, giusto per ribadire il fatto che questo romanzo è molto introspettivo: l’azione non manca, ma non è al centro della narrazione.
Al momento sto lavorando a quello che definisco un “romanzo chilometrico” perché sono già a pagina 470 di file word e sono ancora lontana dalla conclusione. Si tratta di un distopico ambientato circo 1100 anni dopo una sorta di apocalisse, ci sono una miriade di personaggi e il tono vuole essere un po’ satirico e calcare sull’assurdo, nonostante la domanda di fondo sia molto seria, ovvero: qual è il miglior governo?
Facciamo te nero dell’Assam?
Ultimamente, però, bevo molti infusi di curcuma e zenzero …
Anzi! Direi che è d’obbligo un te molto celebrato anche nel mio romanzo: il Chai, con zucchero e latte: ne vado matta!
Grazie per averci fatto compagnia!
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